Il risiko, come il denaro, non dorme mai. Si è appena conclusa la grande partita legata all’acquisizione di Mediobanca da parte del Monte dei Paschi di Siena, che la settimana scorsa, con una modalità e una determinazione del tutto inattese, il Crédit Agricole, compagno paziente di molte banche italiane almeno dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, si è lanciato alla conquista del Banco Bpm. «Aspettiamo una proposta da Milano», ha detto in occasione della presentazione del nuovo piano strategico l’amministratore delegato Olivier Gavalda. «Ci stiamo organizzando per restare a lungo termine primi azionisti», ha fatto eco il suo vice Jerome Grivet. Entrambi partono da un presupposto oggettivo: il Crédit Agricole oggi controlla il 20 per cento del capitale del Banco Bpm e ha chiesto autorizzazione per salire fino al 29 per cento della banca milanese. A un passo dall’opa obbligatoria. È con largo margine il primo azionista della banca di Piazza Meda. Ma adesso cosa succederà? Quella che nella prima metà del 2025 è stata un’àncora di salvataggio per Banco Bpm, che ha anche così resistito all’attacco sferrato da Unicredit, adesso rischia con il suo peso di trascinare a fondo i sogni di indipendenza cullati dall’istituto milanese.Ridisegno
Il ridisegno della mappa del credito in Italia è tutt’altro che terminato e i francesi dimostrano di conoscere bene le scadenze future. La primavera prossima, ad esempio, il Banco Bpm dovrà rinnovare il consiglio di amministrazione. Il gruppo francese, ai termini attuali e ancora di più se sarà salito nel capitale, vorrà essere proporzionalmente rappresentato nel board che andrà a formarsi. È un suo diritto, di cui il l’attuale board se presenterà una lista di candidati dovrà tener presente.
Le interlocuzioni però non sono ancora iniziate. Tutto è molto anticipato rispetto alle scadenze, ma è certo che le dichiarazioni di martedì scorso sono una mossa estremamente esplicita. O semplicemente tattica. Infatti, il quotidiano economico francese Les Echos il 31 ottobre, alla presentazione dei risultati, ha titolato Les profits de Crédit Agricole soutenus par un effet Banco Bpm. Una lettura molto chiara.
L’Italia da anni è il secondo mercato per l’Agricole, che qui ha oltre sei milioni di clienti, tanto da essere il vero terzo polo creditizio. Ha sempre preferito una politica attendista, avanzare ma a piccoli passi. Dalla Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza a Friuladria, da CariSpezia a CariCesena. Ora sembra essere intenzionato a cambiare marcia, quantomeno dimensione del target. Banco Bpm è stato infatti una delle maggiori banche italiane, capace di realizzare 1,66 miliardi di euro di utile netto nei primi nove mesi dell’anno.
L’avanzata dell’Agricole apre almeno due finestre di interrogativi. Da un lato, quello domestico: ci si chiede come reagirà il governo all’ipotesi prospettata. Nell’estate scorsa l’opas di Unicredit sul Banco Bpm è stata osteggiata dal governo italiano, avendo Unicredit partecipazioni in Russia tali da compromettere la sicurezza nazionale. O almeno la sicurezza del risparmio nazionale. Una tesi ardita, ma fin qui vincente, anche se venerdì scorso la Ue ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia proprio per questa vicenda. Adesso, cosa farà Roma? Cacciato Unicredit, aprirà le porte all’Agricole?
Il secondo lato riguarda le autorità europee. Se viene concesso all’Agricole di salire nel capitale del Banco Bpm in nome dei sacri principi che dovrebbero governare l’Unione dei 27, come si farà a bloccare l’avanzata di Unicredit verso la tedesca Commerzbank? Ci sono poi considerazioni laterali. Se Unicredit ha fatto capire che non vede le condizioni per crescere per linee esterne in Italia, ci sono almeno due alfieri del consolidamento pronti a muovere.
Mps è oggi alle prese con l’integrazione dell’acquisizione di Mediobanca e la ridefinizione del proprio perimetro aziendale. Per di più deve affrontare il nodo del rinnovo del consiglio di amministrazione la prossima primavera. Quindi, anche se la potenza di fuoco dei suoi azionisti è rilevantissima è possibile che non voglia/possa entrare nella partita Banco Bpm. Dove invece potrebbe giocare un ruolo significativo la Bper di Gianni Franco Papa. Il gruppo ha appena conquistato la Popolare di Sondrio e ha nel gruppo assicurativo Unipol, presieduto da Carlo Cimbri, un partner importante e solido. Cimbri, proprio mentre l’Agricole muoveva in avanti sul Banco Bpm era a Bruxelles per reclamare equità di trattamento nella applicazione del cosiddetto Danish compromise. Ovvero quel cavillo che facilita la ponderazione dei rischi quando una banca acquisisce una quota di una assicurazione (si evita la deduzione totale del capitale primario) e la aggrava quando invece è una assicurazione ad acquisire una partecipazione in una banca (la compagnia vede un maggiore assorbimento di capitale). Le origini italiane del gruppo Unipol non sono in discussione e neppure quelle delle sue controllate bancarie, Bper Banca e a cascata la Popolare di Sondrio. E una prospettiva di questo genere potrebbe dar vita a un terzo polo bancario nazionale che, ai valori di venerdì scorso, capitalizzerebbe circa 40 miliardi di euro. La regìa che il governo ha avocato a se in tema di risparmio lascia quindi aperte almeno due alternative all’avanzata francese. Certo, la discussione sarà lunga e la partecipazione francese dovrà, nel caso, essere liquidata a valori di mercato. Lo ha detto proprio Grivet la settimana scorsa: non ha senso vendere questa quota in cambio di cash. Serve un baratto, qualcosa che possa valere il 20 o il 30 per cento del Banco Bpm. Ovvero qualcosa che valga tra i 4 e i 6 miliardi di euro. Anima, controllata all’89,95 da Banco Bpm Vita, vale in Borsa poco meno di due miliardi. Poi ci potrebbero essere le eccedenze di sportelli da Antitrust, o il 39 per cento di Agos, leader nel credito al consumo. Insomma, una strada per fermare i francesi, se a qualcuno interessa, c’è. Ma adesso, come hanno detto giustamente a Parigi, tocca a Milano muovere. E, alle sue spalle, a Roma.