E’ ammissibile il sequestro impeditivo nei confronti delle persone giuridiche, previsto dall’art. 321 c.p.p., in ragione del rinvio generale operato dall’art. 34 D.Lgs. 231/2001, purché si dimostri la pertinenzialità fra bene e reato contestato. Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 32491 del 1° ottobre 2025.
La vicenda traeva origine da due decreti con cui il GIP presso il Tribunale di Firenze aveva disposto il sequestro preventivo, da un lato dei beni aziendali relativi all’area di cantiere, ove è avvenuto il crollo parziale di un edificio commerciale che ha portato alla morte di cinque operai ed al ferimento grave di altri tre lavoratori, dall’altro delle quote societarie relative a società, sottoposte a vincolo cautelare in ragione del loro collegamento con la società indagata e della titolarità di quote controllate di un familiare dell’indagato.
Avverso il provvedimento ricorreva per Cassazione la società. Si eccepiva l’assenza del nesso di pertinenzialità tra i beni sottoposti a sequestro ed i reati contestati: il provvedimento impugnato si fondava esclusivamente sulla riconducibilità dei beni all’indagato, anziché sulla loro strumentalità funzionale alla commissione dell’illecito. Dunque sarebbe carente il requisito richiesto dall’art. 321 c.p.p. Contrariamente, il provvedimento, disposto era in concreto finalizzato ad impedire la reiterazione delle condotte (poste in essere dagli indagati) che avevano portato all’incidente. Stando alla difesa, tuttavia, la norma non poteva essere applicata nei confronti degli enti in quanto non espressamente richiamata dal D.Lgs. 231/2001.
La Suprema Corte accoglieva parzialmente il ricorso, relativamente al rapporto di pertinenzialità dei beni sequestrati rispetto al reato, requisito centrale per poter procedere all’applicazione della misura cautelare. Il tema risiede nel fatto che il bene oggetto di sequestro preventivo dev’essere strumentale rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale fra bene e reato. La misura cautelare, dunque, può essere disposta sulla base di un nesso di pertinenzialità del bene rispetto a quel particolare reato. Al contrario, l’ordinanza individuava erroneamente tale pertinenzialità dei beni in relazione all’indagato, trascurando di spiegare il collegamento strutturale fra beni e reato. La Corte sottolinea che la finalità preventiva del sequestro non può supplire al mancato nesso pertinenziale, ribadendo come la motivazione sul punto debba specificamente indicare come i beni sequestrati possano agevolare la commissione di ulteriori reati. I giudici di legittimità, dunque, hanno rilevato la mancanza di una motivazione chiara e specifica circa la pertinenzialità dei beni aziendali sequestrati rispetto al reato contestato. Il provvedimento dunque è stato annullato con rinvio al Tribunale di Firenze, per una nuova valutazione che tenga conto di tale principio.