I vantaggi (minori imposte) derivanti dall’agevolazione per le nuove assunzioni non compensano gli svantaggi (maggiori imposte) derivanti all’eliminazione dell’Ace. Almeno per il 2024, aumenterà l’aliquota effettiva Ires delle imprese. A questo risultato giunge l’Istat che, nella nota dello scorso 5 luglio, ha analizzato gli effetti microeconomici derivanti dalle principali misure introdotte dal d. lgs. n. 216/2023, vale a dire, l’agevolazione (super-deduzione) per l’incremento occupazione (valida solo per il 2024) e l’abrogazione, a regime, dell’Ace. L’Istat effettua un’analisi microeconomica con l’obiettivo di verificare gli effetti generati alle citate misure sul carico fiscale delle imprese per il 2024. L’eliminazione dell’Ace interesserà il 25,3% delle imprese, soprattutto del settore manifatturiero e dei servizi (rispettivamente, 32,9% e 38%), con una più incisiva concentrazione tra le imprese di maggiori dimensioni. Le maggiori imposte che le imprese verseranno, valutate in termini di variazione percentuale dell’Ires, sono stimate nel 12,2%, con significative variazioni sopra la media per le imprese di servizi (15,6%), le imprese del Nord-Est (14%) e quelle in consolidato fiscale (15,3%). Un diverso scenario emerge dall’analisi dell’agevolazione per le nuove assunzioni. Si stimano beneficiari pari a “solo” il 5,6% delle imprese. Non sembrano evidenziarsi picchi particolari rispetto alla tipologia di beneficiari. Significativa è però la distribuzione che emerge guardando il risparmio percentuale di imposta (sempre in termini di variazione rispetto al 2023). Questo viene stimato complessivamente nell’1,9%, con maggiori risparmi stimati per le imprese di costruzione, per quelle di minori dimensioni (fino a 10 milioni di fatturato), quelle del Mezzogiorno e quelle non appartenenti ad un gruppo societario. Particolare (ed interessante) è la valutazione dell’impatto delle nuove misure sulle tipologie di imprese classificate in base all’indicatore ISEF che raggruppa le imprese in base alle risorse patrimoniali e finanziarie, espresse da valori di redditività, alla patrimonializzazione e alla liquidità. L’eliminazione dell’Ace impatterà, in termini di maggiori imposte, soprattutto sulle imprese classificate “a rischio” (patrimonializzate, sotto-patrimonializzate e fortemente a rischio), mentre il beneficio dell’agevolazione risulterà ad appannaggio soprattutto delle imprese classificate come “fragili” (patrimonializzate e sotto-patrimonializzate). Valutati gli effetti, in termini di maggiore o minore variazione percentuale del carico fiscale, l’ISTAT determina, con un proprio modello, l’aliquota effettiva d’imposta IRES (AEI) del 2024. Viene stimato un aumento medio dell’AEI dello 0,3%, che passa così dal 18,6% del 2023 al 18,9% del 2024. L’incremento è pressocché generalizzato ma si riscontrano anche casi di riduzione per alcune categorie di imprese. L’AEI del 2024 si ridurrebbe, così, per le imprese di costruzioni, per quelle di più modeste dimensioni (fino a 500mila euro di fatturato), per quelle del Mezzogiorno e per quelle classificate, in base all’indicatore ISEF, come “fragili patrimonializzate” e “fragili sotto-patrimonializzate”.
Nella nota, infine, oltre ad un approfondimento sugli effetti distributivi dell’ACE nel periodo 2011-2021, viene operata un’analisi sull’impatto delle novità normative sul costo dei fattori produttivi. Sula base di un modello comportamentale, l’Istat stima, tra l’altro, che l’agevolazione per le nuove assunzioni garantirà alle imprese un taglio medio del costo del lavoro dello 0,9%.