04.12.2025

Mînzatu “Italia debole c’è molto da fare per aumentare i salari”

  • La Repubblica

Competitività significa anche posti di lavoro di qualità». La vicepresidente della Commissione europea, Roxana Mînzatu, sintetizza così il pacchetto lavoro – il Quality jobs roadmap – che sta per essere lanciato per riformare
l’intero mondo del lavoro nel giro di un anno. Con tre obiettivi prioritari: «Mantenere i posti», «garantire che l’Intelligenza artificiale favorisca la produzione e l’innovazione e nello stesso tempo protegga i lavoratori», e
«tutelarli».

Ma come si ferma la precarietà del lavoro?

«Il modello sociale europeo deve prima di tutto combattere la povertà sul lavoro, eliminare i rischi per la salute e la sicurezza e garantire la dignità. Nel nuovo bilancio europeo ci sarà un meccanismo di crisi, basato su un prestito,
che sarà simile a quello studiato durante la pandemia. Abbiamo già avuto buoni risultati: occupazione aumentata e disoccupazione al minimo storico».

Che tipo di occupazione però?

«È la mia preoccupazione. Nell’Ue, più dell’8% dei lavoratori non guadagna abbastanza per coprire i bisogni di base».
In Italia, ad esempio, per i giovani la precarietà significa non poter creare una famiglia o avere stabilità sociale.
«Questa è esattamente una delle nostre ambizioni politiche: combattere la povertà lavorativa con una retribuzione dignitosa e giusta. Per questo abbiamo anche la direttiva sul salario minimo».

In Italia però non c’è.

«Ma c’è la contrattazione collettiva. Ed è corretto. Poi, certo, dobbiamo lavorare di più per aumentare i salari reali e sostenere il costo della vita».
Sempre in Italia gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa: 12 per cento in meno della media Ue.

«Stiamo collaborando con l’Italia e con tutti gli Stati membri. In effetti nel vostro Paese, la ripresa dei salari rimane più debole rispetto alla media Ue. C’è ancora molto da fare. Come c’è ancora molto da fare per portare più donne nel
mercato del lavoro. Il tasso di occupazione per le donne è in aumento, ma rimane piuttosto basso. Il 57%».

Lei fa riferimento all’Intelligenza artificiale. Non c’è il rischio che riduca i posti di lavoro?

«Secondo alcune stime fino al 70% dei diversi tipi di lavoro sono esposti all’impatto dell’IA. È chiaro che il lavoro cambierà e alcuni scompariranno. Noi dobbiamo supportare i lavoratori. E dare loro le competenze necessarie per
poter lavorare con l’IA. Le aziende devono essere aiutate in questo. Sempre nel prossimo bilancio è prevista una garanzia per i lavoratori. L’aggiornamento

delle competenze è la risposta chiave perché non possiamo immaginare di fermare l’IA. Semmai bisogna evitare conseguenze dannose, anche mediche, per i lavoratori e impedire discriminazioni».
Proprio gli algoritmi possono essere utilizzati per discriminare.
«Esatto. Nella consultazione che avviamo, uno dei punti che vogliamo affrontare riguarda l’uso degli algoritmi. Alcuni Stati membri, come l’Italia, hanno già avviato il proprio quadro giuridico sul loro uso».

Molti governi di destra insistono per tenere lontani i lavoratori extracomunitari. Possiamo davvero farne a meno?

«L’Ue ha già lavoratori non comunitari perché ci sono carenze in molti settori. Molte volte sono lavori mal pagati. Spesso diventano manodopera a basso costo, questo va contro i nostri standard e nega la dignità delle persone. Nel contesto della mobilità stiamo assistendo a un aumento significativo della presenza di lavoratori migranti. Insieme all’Italia stiamo lavorando a un quadro normativo europeo per regolamentarne la presenza e aumentarne la protezione.
Poi c’è un problema demografico. La mia priorità è guardare alle persone che non sono nel mercato del lavoro. Abbiamo 50 milioni di europei inattivi. Nello stesso tempo dobbiamo anche guardare ai cittadini di paesi terzi. Abbiamo bisogno di dipendenti e di risorse, capitale umano in tanti settori. Ma le persone che vengono a lavorare in Europa devono avere protezioni chiare».

Tra i settori più delicati c’è l’automotive. Come si mantengono in quel settore i posti di lavoro?

«Questa è una delle domande dell’industria europea ed è molto importante sostenerla con tutto ciò che abbiamo. Ci sono intere città e regioni che dipendono da essa».

I lavoratori pensano che la transizione verde sia un nemico.

«Molti, ovviamente, pensano che la transizione verde non abbia portato la stessa prosperità e opportunità di lavoro come in altre parti del mondo. Dobbiamo fare in modo che la nostra industria automobilistica abbia una produzione elettrica e crei posti di lavoro. L’Ue deve, in modo pragmatico, innovare, soddisfare gli standard ecologici e ottenere risultati sociali. Questo significa mantenere i posti di lavoro e crearne altri, se possibile».