12.09.2024

L’Europa ferma sulle fusioni Ora la mossa che prova a rilanciare il risiko bancario

  • La Repubblica

L’affondo di Andrea Orcel a Berlino mostra all’Europa bancaria il suo futuro prossimo, guidato da un plotone di “campioni”. Due o tre per ogni Paese forte (Francia, Spagna, Italia, Germania), in grado di competere coi i big Usa e cinesi.

Il consolidamento era in realtà iniziato poco dopo l’avvento dell’euro. Proprio Unicredit, sotto la guida di Alessandro Profumo (detto allora “il grande”) ne fu pioniera, con una quindicina di acquisizioni in quasi ogni Stato Ue. Ma tutto si è bloccato dopo il crac di Lehman, perché i mercati si erano chiusi e perché le banche non si rivelarono capaci di gestire rischi “europei”. Lo sanno bene i soci di Unicredit, che prima dell’aumento 2017 da 13 miliardi aveva bruciato quasi tutto il capitale.

Malgrado diversi tentativi dei tecnocrati, quel consolidamento non è mai davvero ripreso: neanche con la nascita dell’Unione bancaria del 2014. Colpa delle ritrosie politiche, sia come protezioni locali ai banchieri che come veto dei “nordisti” a condividere i rischi di perdita sui depositi del Sud; e l’Unione bancaria resta incompiuta. Mario Draghi, tra i suoi fautori da presidente Bce, lunedì nel suo rapporto alla Commissione Ue ricordava i guai che ne derivano: poco e più costoso credito e «minore redditività e taglia delle banche europee rispetto alle rivali Usa». Il rapporto Draghi consiglia «un minimo passo avanti per completare l’Unione bancaria creando una giurisdizione separata per banche europee con rilevanti operazioni cross-border, che le ripari da interpretazioni locali di regole, supervisione e gestione delle crisi». Intanto Jp Morgan, regina delle banche Usa, capitalizza sette volte i 71 miliardi di Bnp Paribas, Bofa quattro volte, e le banche cinesi di Stato valgono il doppio dei leader parigini.

Morningstar, che vede nella mossa di Unicredit «un nuovo sprone alle fusioni transfrontaliere», illustra i vantaggi teorici: «Un’integrazione con Commerzbank creerebbe economie di scala e sinergie nel ramo imprese e Pmi in Germania, perché Commerz è leader nel Mittelstand, e l’Italia è il primo partner dei tedeschi nell’import-export». Ma il banking tedesco è ancora affollato di politici locali e non, che lo tengono inefficiente e disperso. Così fan tutti, in Europa: pur se Commerzbank, un po’ la locale Mps, ha il primato di tentativi di acquisto sventati dalla politica. Da mesi il governo Sanchez tuona contro il piano di nozze tra banche spagnole, Bbva e Sabadell, per timore di tagli al lavoro. E il governo Meloni, che mira a creare un terzo polo nazionale su Mps, non accetta inquilini stranieri a Siena.

«La mossa di Unicredit è importante anche perché rilancia le fusioni transfrontaliere: anche se, a ben vedere, Unicredit è anche una banca tedesca, perciò può permettersi un’operazione da cui otterrebbe sinergie sul mercato tedesco – dice Andrea Filtri, a capo di Mediobanca Research -. Forse essere in più giurisdizioni sta tornando a essere strategico, perché consente più opzioni geografiche e di business a chi ha reti internazionali ». Unicredit ha le geografie, ma non ancora tutte le fabbriche prodotto tipiche dei francesi. E sfruttando le regole di Basilea III, di recente Bnp Paribas ha comprato i fondi di Axa Investment Managers per 5,5 miliardi limitando a 2 miliardi l’assorbimento di capitale, perché l’acquisto veniva dalla pedina assicurativa Bnp Cardiff. Un escamotage che sta rafforzando il settore transalpino, ma potrebbe favorire operazioni anche per Intesa Sanpaolo, che è “conglomerato assicurativo”, o a Crédit Agricole, già forte in Italia e che si fece avanti per le polizze vita di Banco Bpm. Pure Unipol sta centrato sulla strategia bancaria (controlla Bper e Pop Sondrio) e sulla vendita di polizze agli sportelli. Ma questo è risiko “italiano”. Lo spauracchio Unicredit, che insidiava tutti i gruppi medi, stando a Piazza Affari, esce di scena. La nascita del terzo polo tra Banco Bpm, Bper-Unipol e Mps ora è più facile.