La transizione energetica deve assolutamente continuare, ma non in modo esasperato e ideologico». Se questo ragionamento, fatto dall’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi celebrando ieri a Wall Street i 30 anni di quotazione, vale per tutti, dovrebbe significare che da una parte gli attivisti della lotta ai cambiamenti climatici devono accettare la realtà con cui le aziende del settore si trovano a fare i conti, ma dall’altra i militanti della fazione opposta devono rassegnarsi all’idea che se questo processo è «additivo», come sostiene l’amministrazione Trump, non ha senso sottrarre addendi come le rinnovabili, a partire da eolico e solare.
Descalzi ha celebrato i trent’anni dell’Eni a Wall Street sottolineando che la strategia della sua azienda funziona, in particolare se si considera che ha dovuto navigare crisi tanto imprevedibili quanto complicate come la pandemia di Covid e le guerre in Ucraina e Gaza. Per la compagnia italiana non c’è alcun impatto dalle sanzioni americane sul petrolio russo perché «non compriamo più da tempo dalla Russia. Quindi direttamente non c’è un impatto. Per l’Europa un po’ di più, perché probabilmente ci sono Paesi che sono costretti, o hanno fatto la scelta di continuare ad acquistare anche con le sanzioni precedenti il petrolio russo». Diverso è il discorso sui prezzi: «L’impatto sui prezzi probabilmente c’è. Se non ci fossero state queste sanzioni, anche secondarie sul petrolio russo, sarebbero più bassi. Ora bisogna realmente scoprire se c’è questo surplus di 4 milioni di cui tutti stanno parlando nel 2026».
Restando nel campo della geopolitica, in Libia la situazione è abbastanza stabile, perché Eni produce soprattutto gas per la società civile locale e questo la protegge. Più complicata la crisi in Venezuela, perché anche qui la produzione è indirizzata verso il mercato domestico, ma gli Usa frenano i pagamenti «in carichi e non con il cash». Il calo del dollaro poi sta costando «centinaia di milioni».
La grande sfida però si gioca sulle rinnovabili, da Bill Gates che fa marcia indietro a Trump che vuole eliminare eolico e solare. «La transizione – risponde Descalzi – c’è, ma è additiva. Il carbone è ancora la prima fonte di energia nell’elettricità, il gas viene molto dopo. Chi pensava che fosse un’eliminazione di tutte le fonti con la loro sostituzione, ha fatto male alla transizione. Deve essere additiva». Proprio per questo, però, l’Eni sta investendo in «solare ed eolico. Alla fine dell’anno arriveremo a 5,3 giga, di cui 2 negli Usa». E continua a puntare sulla fusione nucleare, che potrebbe dare i primi contributi concreti tra il 2030 e il 2033, quando la presidenza Trump sarà un ricordo e il mondo dovrà aver trovato un equilibrio fra lotta ai cambiamenti climatici e crescente fabbisogno di energia.