Il negazionista Trump ha disertato la Cop 30 in Brasile. Lo stesso hanno fatto Xi Jinping e molti altri leader. Tra dazi, guerre e tensioni geopolitiche, il cambiamento climatico è passato in secondo piano nelle agende politiche. E la legge del più forte sembra schiacciare qualsiasi forma di multilateralismo. Nonostante questo, a Belém ci sono 145 tavoli di negoziazione che stanno provando a costruire un futuro sostenibile. Il cammino è in salita, ma la direzione è tracciata. «A Belém si sta preparando il futuro. Sembra che accada tutto a Washington, ma non è così. Il mondo va avanti. E molte rinunce a combattere il riscaldamento globale sono più apparenti che reali», ha sottolineato il vicedirettore del Corriere della Sera, Daniele Manca, aprendo L’Economia del Futuro, la due giorni de L’Economia del Corriere della Sera dedicata alle aziende e ai loro percorsi nell’ambito della responsabilità sociale, ambientale ed economica. I lavori della nona edizione, dedicata alle «Parole per capire», sono iniziati ieri alla Triennale di Milano.
Mentre gli Usa sono usciti dagli accordi di Parigi per il cambiamento climatico, Cina e Paesi del Golfo accelerano sulle rinnovabili. In questo contesto l’Europa ha una strada da percorrere che è quella tracciata dal Green Deal il cui impianto, al netto delle correzioni e revisioni, rimane solido. Ma deve accelerare sulle tecnologie chiave della transizione ecologica per non perdere competitività. Rinnovabili, innanzitutto, ma non solo. Perché non si possono sostituire dall’oggi al domani le vecchie fonti con le nuove e la transizione e l’evoluzione dei mix energetici è un processo di lungo periodo, come ha evidenziato Annalisa Muccioli, head of Research & technological innovation di Eni. Il gruppo sta puntando molto sulla cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica. «La profonda conoscenza del sottosuolo e dei giacimenti che abbiamo sviluppato negli anni ci consente di sapere dove possiamo stoccare la CO2 e quali siti possiamo rendere degli stoccaggi permanenti — ha spiegato Muccioli — . L’obiettivo nel lungo periodo è fare dell’Italia l’hub di stoccaggio della CO2 del Mediterraneo».
La sostenibilità è una sfida, ma anche un’opportunità. Le imprese che ci hanno creduto fin dall’inizio lo sanno bene e non intendono tornare indietro. «Alcuni settori sono più conservativi, penso al mondo della moda da cui vengo. Ma saranno le generazioni future a spingere al cambiamento anche i più scettici», dice Alex Armillotta, fondatore e amministratore delegato di AWorld,startup che è stata scelta dall’Onu per educare i cittadini alla sostenibilità. Secondo Armillotta le imprese devono passare da un «modello estrattivo», in cui si sfruttano le risorse per produrre e fare profitto, a un «modello rigenerativo» con il quale restituire valore alle comunità e agli stakeholder. Per Giulio Bonazzi, ad di Aquafil, per cambiare davvero «servono una legislazione che funzioni, l’educazione alla sostenibilità e uno sforzo di riprogettazione dei prodotti che abiliti la circolarità». Sulla necessità di espandere il proprio raggio d’azione e abilitare nuove soluzioni industriali si è soffermato anche Yuri Santagostino, presidente di Gruppo Cap, il gestore del servizio idrico integrato della Città Metropolitana di Milano.
La portata della sfida è tale che serve lo sforzo di tutti. Proprio per questo la collaborazione tra decisori politici, imprese e più in generale settore privato e realtà del terzo settore è la chiave per avviare «un cambiamento sistemico di lungo periodo», ha evidenziato Mariasole Bianco, biologa marina e fondatrice di Worldrise, associazione non profit impegnata nella salvaguardia degli ecosistemi marini.
Crescita e sostenibilità non sono in antitesi, come hanno sottolineato Riccardo Illy, presidente del Polo del Gusto, e Francesco Giavazzi,professore emerito di Economia politica dell’Università Bocconi durante la consegna del Premio Economia del Futuro, rivolto ai migliori esempi di aziende che promuovono idee, pratiche e progetti di sostenibilità, ambientale e sociale. Premio che quest’anno è stato assegnato a Michele Andriani, presidente e ad di Andriani, azienda pugliese, diventata un player di primo livello nel settore dell’innovation e dell’healthy food. «Il nostro obiettivo — ha spiegato l’ad — è costruire un’economia rigenerativa, competitiva e sostenibile, capace di creare valore per le persone, per i territori e per il pianeta».