Iva sui dati? Per la Commissione europea i servizi digitali gratuiti resi in cambio dei dati degli utenti possono diventare imponibili IVA. Ma serve un intervento legislativo. E dunque fintanto che non ci sarà una volontà politica di modificare la direttiva Iva e introdurre il cambio normativo, non si può procedere alla quantificazione dello scambio dati piattaforme utenti ai fini Iva.
L’incontro del 17 novembre 2025. Nuovo round a marzo 2026
Nel Working Paper, presentato durante il 128° incontro del Comitato Iva del 17 novembre 2025, che ItaliaOggi ha avuto modo di visionare, i servizi della Commissione europea hanno chiarito che l’utilizzo dei dati personali come corrispettivo può generare un’operazione imponibile, ma solo in condizioni specifiche e delimitate.
Si tratta della risposta al quesito sollevato dall’Italia, che ha chiesto se la cessione dei dati degli utenti per accedere ai servizi dei social network costituisca un baratto ai sensi dell’articolo 2(1)(c) della Direttiva Iva e sia, dunque, soggetta a imposta.
La questione passa ora alle delegazioni del Comitato Iva, chiamate a esprimere un parere sul documento della Commissione, presumibilmente entro marzo 2026.
Secondo l’Italia, l’evoluzione tecnologica consente oggi di stabilire un rapporto diretto tra quantità e qualità dei dati forniti e livello di servizio ricevuto: un vero e proprio baratto tra accesso alla piattaforma e dati personali.
Una posizione che ha già portato l’Agenzia delle entrate a notificare richieste di pagamento dell’Iva per oltre un miliardo di euro a colossi digitali come Meta, X (ex Twitter) e LinkedIn (si veda ItaliaOggi del 1 marzo).
Tre scenari per il documento di lavoro
Il documento della Commissione individua tre scenari. Nel primo scenario, l’utente non modifica le impostazioni sulla gestione dei dati e riceve il servizio “gratuito” standard: in questa ipotesi non esiste alcun nesso diretto tra servizio e dati ceduti. Il servizio resta generalizzato, identico per tutti, indipendentemente dal volume di dati generati. Dunque, nessuna operazione è imponibile.
Nel terzo scenario, l’utente paga un abbonamento mensile per accedere ai servizi, ad esempio una versione senza pubblicità. Qui il corrispettivo è monetario e la prestazione è pienamente imponibile, con base imponibile pari al prezzo dell’abbonamento.
Il secondo scenario è quello su cui si concentra il quesito italiano. L’utente limita, tramite le impostazioni della piattaforma, l’utilizzo dei propri dati personali (come disattivare autorizzazioni, tracciamenti o accessi).
Questa scelta produce una riduzione proporzionale delle funzionalità disponibili: minore possibilità di accedere a contenuti, siti collegati, foto o video.
In questa configurazione, afferma la Commissione, può emergere un collegamento diretto tra il valore dei dati forniti e il livello del servizio digitale erogato.
Nel documento, i Servizi della Commissione osservano infatti che «possono esservi situazioni in cui il nesso tra il servizio informatico fornito e i dati messi a disposizione dall’utente risulta più facilmente individuabile». Tuttavia, anche in presenza di tale nesso, resta aperto i nodo di come si misura il corrispettivo. «Sarebbe difficile quantificare in qualsiasi misura l’ammontare imponibile», avverte Bruxelles.
Difficile quantificazione, la strada è una modifica alla direttiva
La Commissione ammette che, in teoria, «potrebbe essere possibile utilizzare il “canone mensile” della situazione 3 come parametro per determinare la base imponibile della situazione 2 (qualora entrambe le situazioni riguardino lo stesso fornitore)».
Ma precisa al tempo stesso che questa soluzione «richiederebbe una valutazione caso per caso e sarebbe necessario prestare attenzione affinché il risultato sia equo e attuabile nella pratica». Una complessità tale da portare i Servizi della Commissione a concludere che «la soluzione più adeguata potrebbe andare oltre il mandato del Comitato Iva e rendere necessarie modifiche legislative alla Direttiva».
Nella precedente riunione del 14 maggio, la Commissione europea aveva già chiarito che il mero fatto che una transazione avvenga sotto forma di scambio in natura (baratto) non è sufficiente per applicare automaticamente il valore normale, cioè il prezzo di mercato che si applicherebbe tra soggetti indipendenti, come base imponibile ai fini Iva (si veda ItaliaOggi del 2 luglio).