04.08.2020

Intesa guarda a Nord-Est per la sua campagna europea

  • La Repubblica
Mentre Intesa Sanpaolo corona l’acquisizione di Ubi prepara già un futuro europeo, prossimo e poco eventuale. Che dal 2021 potrebbe portare a integrazioni nei Paesi Bassi o nell’Est Europa con gruppi forti nelle gestioni di fondi. Lo si apprende da fonti finanziarie che Repubblica ritiene attendibili.
«Aver avviato, primi a livello europeo, una nuova fase di rafforzamento del settore bancario è la dimostrazione di come il nostro Paese possa giocare da protagonista le nuove sfide in Europa». Chi conosce il contesto che ha portato al blitz su Ubi del 17 febbraio, sa che dichiarazioni dell’ad Carlo Messina, rese il 30 luglio dopo che la sua Opas aveva convinto il 90,2% dei soci della quarta banca italiana, non sono di prammatica. Tanta grazia, che costerà 400 milioni in più all’offerente, ha intanto il pregio di accorciare i tempi per fondere le due banche: entro la primavera 2021. Molto prima, però, ripartirà lo studio di dossier ed eventuali negoziati, forse ancora con Mediobanca consulente, per crescere nell’Europa del Nord-Est.
I presupposti della nuova corsa al consolidamento transnazionale sono, in parte, strutturali: come i prolungati tassi d’interesse negativi, che colmano il divario delle banche dell’euro con americane e cinesi. E in altra parte legati alla congiuntura nera post coronavirus. La recessione coglierà, e non è detto sia per poco, la maggior parte della zona euro, tanto che Oliver Wyman stima una nuova onda di crediti deteriorati da 400 miliardi di euro. La vigilanza della Bce sa bene queste cose: per questo da qualche mese è tornata a battere sul tasto delle fusioni. Lo fa sia con agevolazioni tecnico-finanziarie (togliendo balzelli di capitale aggiuntivo, anzi pronta a conteggiare come patrimonio gli avviamenti negativi, che sono miliardari dove la Borsa è più depressa). E sia con la moral suasion rivolto a una mezza dozzina di grandi gruppi sui quali ristrutturare il tessuto creditizio europeo.
La reputazione di Intesa Sanpaolo presso l’Eurotower, nata dal lavoro quotidiano svolto dal 2015 con il team di vigilanza dedicato, è così diventata una “chiamata” negli ultimi mesi. Il maggiore istituto italiano, che con Ubi avrà attivi per oltre 450 miliardi e risparmi per 1.100 miliardi, risulta tra chi è chiamato a muovere oltrefrontiera, per varie ragioni. Tra queste, la storica alta remunerazione in cedole, che renderebbe più facile chiedere risorse sul mercato nel bisogno, e lo stabile assetto azionario presidiato dallo “strano binomio” formato da cinque Fondazioni bancarie e dal colosso del risparmio Usa Blackrock, da anni sulla soglia del 5% (più alta qui, rispetto ai colossi di Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, dove si attesta tra 2 e 3%. Compagnia di San Paolo, Cariplo, Cariparo, Carifirenze e Carisbo hanno infatti il 16,5% di Intesa Sanpaolo, e hanno affinato anni di dialogo con i banchieri al timone contribuendo a rendere la banca protagonista dell’economia sociale in Italia. Su tali valori da un triennio è planato – con slancio – il leader delle gestioni Usa, che gestisce 8 mila miliardi di dollari e sta facendo della “sostenibilità”, degli investimenti e delle imprese latrici, un mantra.
Dal 2019 Blackrock manda perfino i suoi vertici a Milano, a elogiare Ca’ de Sass nell’appuntamento annuale che dà conto della sostenibilità della banca. «La sostenibilità deve diventare il nostro standard per gli investimenti e Intesa Sanpaolo è in questa direzione un modello mondiale di sostenibilità», ha detto il 16 gennaio 2020 Rob Kapito, presidente di Blackrock. E anche qui, non solo parole: anche un sostegno sonante alla crescita per vie esterne del gruppo, con Ubi e con ciò che verrà dopo. Proprio Ubi è, insieme a Intesa, forse la banca più attenta a questi temi: «La nostra quota nel no-profit è doppia rispetto alla quota di mercato tradizionale, e non è un caso – ha rimarcato ieri l’ad Victor Massiah, nella lettera d’addio ai dipendenti – . Ci hanno sempre guidato logiche di lungo periodo coniugate con un’estrema sensibilità ai valori della comunità sociale».