Italia promossa sulla disciplina di bilancio, ma a farne le spese è la crescita. Occupazione da record, manca però l’apporto dei giovani fondamentali per un’economia che invecchia. La doppia pagella Ocse-Istat su conti e lavoro italiani sfugge alle interpretazioni monolitiche. L’Organizzazione parigina, in un contesto globale «resiliente ma con crescenti fragilità» (che rispondono ai nomi noti di dazi, rischio di bolla IA, possibili tensioni sui titoli di Stato per
alcuni bilanci pubblici ballerini), riconosce e incoraggia il prosieguo del consolidamento del bilancio italiano che «contribuisce a ridurre i costi del debito». Il deficit è visto in calo al 2,6% del Pil nel 2027 e il surplus primario segue la traiettoria prevista, con l’obiettivo al 2,1% nel Confermare l’andamento delle entrate, efficientare le uscite e accantonare le velleità di allentare i meccanismi delle pensioni sono i requisiti per tenere a bada un debito che è comunque proiettato sopra il 137% del Pil per il prossimo biennio.
Ma questo consolidamento fiscale «smorzerà la crescita», a differenza della Germania dove le spese militari e infrastrutturali la sosterranno. E così la stima per quest’anno si lima al +0,5% (dallo 0,6 precedente e contro il 3,2% globale) e per il biennio successivo non va oltre lo 0,6 e 0,7 per cento: la metà di quanto previsto per l’Eurozona. Esportazioni deboli per i dazi e consumi timidi delle famiglie pesano. «Molte altre economie Ue registrano un contributo più forte degli investimenti e dei consumi privati, grazie a una crescita più sostenuta del reddito reale», spiega Emilia Soldani del dipartimento di studi economici dell’Organizzazione. Posto che il rigore non si discute, visto lo stock di debito, l’Ocse suggerisce altre leve da muovere: sostenere le entrate con una migliore riscossione, tassare più gli immobili e meno il lavoro, far meglio su appalti pubblici e incentivi alle imprese. Attivare forza lavoro giovane – insieme al non lesinare gli investimenti su infrastrutture e transizione verde anche oltre il traguardo del Pnrr – è tra le priorità indicate da Parigi. Per una popolazione in invecchiamento strutturale, è vitale.
Con questa chiave di lettura, si stempera allora l’entusiasmo per i dati Istat sull’occupazione di ottobre. Che è da record per tasso (62,7 per cento) e numero di persone al lavoro (24 milioni e 208 mila). Di contro i disoccupati scendono al minimo storico, con tasso di senza lavoro al 6 per cento. «Dati complessivamente buoni» dice il presidente di Adapt, Francesco Seghezzi, perché a lavorare di più sono dipendenti, permanenti e a termine, e autonomi; uomini e donne. Per la premier Giorgia Meloni «confermano la fiducia che arriva dal mondo del lavoro e dalle nostre imprese» e «incoraggiano a proseguire con serietà sulle politiche che sostengono occupazione e crescita». Ma a ben vedere «c’è un nodo giovani», aggiunge Seghezzi. In un anno, il tasso di occupazione è sceso di 1,9 punti per i 15-24enni e di 0,7 punti per i 25-34enni. Sull’ottobre 2024, gli occupati over 50 sono cresciuti di 483mila mentre gli under 35 scendevano di 159mila. Anche le fila degli inattivi, chi un lavoro neppure lo cerca, si muovono in direzione opposta a seconda della carta d’identità: lo stabile 33,2% complessivo (numero da primato in Europa) sintetizza la crescita tra gli under 35 e la diminuzione per i più senior. Spie di «uno squilibrio strutturale che penalizza i più fragili», traduce la Cgil. Cifre «allarmanti» per la Uil che chiede un piano nazionale.