Sono poche, concentrate soprattutto nelle aree di staff e meno disponibili alla mobilità internazionale rispetto agli uomini. Sono le donne executive del nostro Paese che è il fanalino di coda per la presenza di figure che ricoprono posizioni manageriali apicali come l’amministratore delegato e i membri del comitato esecutivo o del leadership team: nelle quotate sono solo il 17% e salgono al 18% considerando quotate e non. È uno dei dati più significativi della seconda edizione dell’Osservatorio Donne Executive della Sda Bocconi (verrà presentato il 14 ottobre), in collaborazione con Eric Salmon, che racconta chi sono gli excutive europei attraverso un campione di 5.376 manager in 4 Paesi, Italia, Francia, Germania e Belgio, in circa 200 aziende per nazione. L’analisi racconta le funzioni ricoperte, i settori industriali, le dinamiche generazionali, l’esperienza internazionale. «L’Italia è la peggiore con il 17% di donne executive – e l’83% di uomini -, contro il 32% della Francia, il 24% del Belgio e il 23% della Germania – dice il professore dell’Università Bocconi Alessandro Minichilli -. La Francia ha la situazione più avanzata, ma va detto che il dato è influenzato dal quadro normativo e dalla Loi Rixain che, tra l’altro, ha favorito la presenza di donne tra gli executive: implica infatti che la quota di genere sia del 30% entro il 2027 e del 40% entro il 2030 per i cosiddetti cadres dirigeants. In Italia vi sono invece norme solo per i board non executive delle imprese quotate». Ciò che è più preoccupante però «è che l’Italia spicca per la percentuale più alta, il 22%, di imprese completamente prive di donne executive», aggiunge Minichilli.
I settori e le funzioni
La Francia emerge come leader trasversale in tutti i settori considerati, con punte significative in banche e assicurazioni (36%) e nei servizi (34%). L’Italia mostra un forte ritardo nelle costruzioni (7%) e, in generale, in tutti i settori rispetto agli altri Paesi. Nella distribuzione tra funzioni di business e di staff c’è una forte concentrazione del genere femminile nelle aree di staff in tutti i Paesi, con percentuali comprese tra il 71% e il 75%. C’è, in generale, una certa difficoltà per le donne ad accedere a posizioni di business in tutti i Paesi, con valori più alti in marketing e sales.
Poche donne ceo
Le posizioni di amministratore delegato sono ancora poco accessibili per le donne e nelle funzioni più tecniche (operations, supply chain, ricerca e sviluppo) c’è una forte prevalenza maschile in tutti e 4 i Paesi considerati. In Italia appare molto debole la presenza delle donne nelle funzioni tecniche. Tra quelle di staff le executive si trovano soprattutto nell’area risorse umane, legale e audit, investor relations e sostenibilità. Le funzioni It e strategia sono ancora prevalentemente maschili, pur con segnali di apertura e cambiamento. I dati indicano che senza interventi mirati per rafforzare la presenza femminile nelle carriere executive, il riequilibrio di genere tenderà a rimanere limitato anche nelle prossime generazioni di ceo. «L’Italia presenta una lieve ma costante crescita della presenza femminile nei vertici aziendali, pur in presenza di forti disuguaglianze tra settori e aree funzionali – osserva Paola Calderini, ceo Italia di Eric Salmon & Partners -. Nel confronto internazionale la Francia dimostra una maggiore maturità dei meccanismi di inclusione anche correlata a un impianto normativo lungimirante. La Germania si caratterizza per un assetto normativo più rigido e una governance meno coerente nei meccanismi di promozione della leadership femminile. Il Belgio mostra segnali di equilibrio, seppure all’interno di un campione più contenuto. Nel nostro Paese c’è una prevalenza delle donne nelle aree di staff e marketing and sales, dove è più facile muoversi tra i settori. Questo facilita una maggiore mobilità tra i settori perché è più facile che un capo del personale possa muoversi spostandosi da una industry all’altra, rispetto ad altre funzioni, come il responsabile delle vendite». L’altra tendenza positiva che rileva Calderini riguarda il fatto che «nelle generazioni più giovani c’è una maggiore presenza femminile rispetto alle generazioni più mature, dove, soprattutto in Italia prevale il cosiddetto collo di bottiglia». Diversa la situazione dei cda, i comitati di amministrazione dove «la quota delle donne è più alta ma è dovuta alla legge Golfo Mosca, senza la quale non ci sarebbe stata la parità di genere e l’incremento al 25% delle nomine femminili nei board. Allo stesso modo c’è una presenza crescente di donne nei comitati nomine, in cui si riscontra un incremento del 15%». I dati mostrano che da un lato la presenza di una donna all’interno del Comitato Nomine aumenta la probabilità di nomine executive al femminile e dall’altro l’efficacia delle riforme risulta più evidente nei contesti in cui i Comitati Nomine sono composti sia da uomini sia da donne: la diversità al loro interno è un fattore decisivo per rendere concrete le politiche di gender diversity.
La formazione e la mobilità
Guardando al percorso di formazione, Economia e management sono le lauree più diffuse tra gli executive in tutti i Paesi analizzati, con percentuali simili per uomini e donne. Il divario più significativo è nell’area delle scienze Stem e mediche. In ogni Paese la percentuale di uomini executive con formazione Stem supera quasi del doppio la percentuale delle donne. In generale le executive hanno una minore propensione all’esperienza all’estero rispetto agli uomini. Il divario più marcato è in Belgio, con un gap di 6 punti percentuali. La Germania invece rappresenta un’eccezione: è infatti l’unico Paese dove ci sono più donne che fanno esperienze internazionali. In tutti i contesti analizzati le donne tendono a fare esperienze per lo più rimanendo in Europa. La seconda meta più frequente è il Nord America.
Le generazioni
La quota preponderante delle donne executive rientra nella Generazione X. La Germania si distingue per un’alta presenza di donne millennials executive. Tra i 4 Paesi considerati, l’Italia si distingue anche per la quota più alta di baby boomers tra gli uomini: sono uno su quattro, segno di una classe dirigente più anziana e di un ricambio generazionale lento e prevalentemente maschile ai piani alti. Su questo Massimo Milletti, presidente onorario Italia di Eric Salmon and Partners che ha guidato per oltre due decenni sostiene che «servirebbe un patto dopo le nomine, ossia chiedere ai manager di impegnarsi per la nomina successiva a fare sì che ci sia una pipeline con una presenza di donne. L’uomo manager deve prendersi l’impegno durante il suo mandato di creare una pipeline dove nei piani di successione ci siano quote di donne. Di qualità. Dobbiamo infatti spostare l’attenzione dalla quantità alla qualità e dalla parità di genere alla parità di potere». Le donne dirigenti sono aumentate, quasi un dirigente su 3 è donna, ma nei ruoli apicali, considerando quotate e non quotate questa quota scende al 18% e tra i ceo al 7%. «Segno che le donne devono puntare di più su posizioni che contano dove c’è invece un arroccamento degli uomini – continua Milletti -. I tre temi fondamentali sono la necessità di sponsorship da parte del top management della diversity interna, la collaborazione col sistema educativo per la mancanza di donne che arrivano da percorsi Stem e poi politiche di succession plan con obiettivi di genere».