Telecom torna… Italia? Secondo indiscrezioni, il gruppo francese Vivendi si appresta a passare a Poste Italiane il controllo della maggior compagnia telefonica nazionale, concludendo un’avventura iniziata nel 2015. Dieci anni e cinque amministratori delegati più tardi, Vivendi ha da tempo deciso di uscire da un investimento che lo ha impegnato in una serie di battaglie azionarie, perlopiù perse, e gli è costato una minusvalenza di circa tre miliardi di euro su un impegno iniziale di quattro.
Dopo aver tentato invano di trovare un accordo con Cvc e altri fondi, la famiglia Bolloré sembra infine aver trovato un compratore interessato in Poste che a inizio febbraio è subentrata a Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di Tim con il 9,81%. Da allora i dialoghi sull’asse Roma-Parigi non si sono mai fermati e, salvo sorprese, presto dovrebbero portare a un nuovo rivolgimento nel capitale di Tim. Poste potrebbe infatti rilevare parte della partecipazione di Vivendi, diventando il primo socio di Tim e, quindi, il motore delle strategie industriali della compagnia. Nell’operazione potrebbe entrare un fondo a fianco di Poste per rafforzare la presa.La doppia questione
Perché questa ipotesi diventi realtà, restano da affrontare due questioni: quanto e a quale prezzo. Per le sue azioni Vivendi vorrebbe ottenere da Poste un premio rispetto ai corsi attuali di Tim. L’operazione consentirebbe infatti al gruppo delle spedizioni di ottenere due risultati: da un lato, conquistare la maggioranza relativa di Tim senza dover ricorrere a onerosi acquisti sul mercato, dall’altro, portare in minoranza la stessa Vivendi, diventando così l’unico socio di riferimento del gruppo di telecomunicazioni. Stante la determinazione a porre fine all’avventura in Tim, il gruppo francese non pare intenzionato a un braccio di ferro sul prezzo. Ma è chiaro che i tempi di un accordo dipendono da Parigi.
Quanto al primo punto, il quanto, Poste potrebbe comprare gran parte del pacchetto di Vivendi e così portarsi appena sotto la soglia del 25%, oltre la quale scatta l’obbligo di promuovere un’offerta pubblica d’acquisto sull’intero capitale. Al gruppo francese — che ha già ceduto sul mercato circa il 5% di Tim, scendendo dal 23,75% al 18,4% — resterebbe così una partecipazione di poco superiore al 3%. Altrimenti, Poste potrebbe rilevare anche una quota inferiore, intorno al 10%, da Vivendi, ma comunque sufficiente a orientare le scelte gestionali e di governance della società. In un caso e nell’altro, la quota residua in mano a Vivendi potrebbe andare a un fondo, permettendo ai soci francesi di abbandonare definitivamente la scena. Il percorso appare insomma tracciato e dovrebbe riportare poste e telefoni sotto la guida nazionale di Poste, cioè di una società controllata al 65% dal ministero dell’Economia.
Una volta completato il riassetto, il gruppo guidato da Matteo Del Fante potrebbe metter mano alla governance e alle strategie di Tim. Il rinvio dell’assemblea al 24 giugno sarebbe legata anche all’esito della trattativa con Vivendi, che potrebbe portare a un riassetto in consiglio. Come socio industriale e, nell’ipotesi, di maggioranza relativa, è probabile che Poste vorrà inserire uno o più rappresentanti nel cda di Tim, da capire con quali deleghe o con quali conseguenze sull’attuale composizione del board. L’avvicendamento fra Vivendi e Poste nel capitale, del resto, potrebbe anche consentire di metter al voto alcune operazioni straordinarie sinora bloccate dall’opposizione dei francesi. Sul mercato, per esempio, si è tornato a parlare della conversione delle azioni di risparmio, che sta comprimendo la possibilità per Tim di tornare a distribuire dividendi ai soci ordinari.
Quanto agli aspetti industriali, sono immaginabili diverse sinergie. Tim potrebbe anzitutto sostituire Vodafone come fornitore di rete di Poste Mobile, operatore che conta quasi 5 milioni di clienti. «È una negoziazione in corso e ora, essendo Poste diventato anche nostro azionista, dobbiamo fare estrema attenzione a tutte le tematiche legate alle parti correlate», ha detto in settimana l’ad di Tim, Pietro Labriola.
Il focus di Del Fante sarebbe sopratutto sulle attività Enterprise di Tim, rivolte alle imprese e alla pubblica amministrazione, dove c’è maggiore valore. Altre collaborazioni fra le due aziende sono immaginabili, per esempio, nella connessione degli oltre 13 mila uffici postali. Oppure nella tecnologia e nel cloud, di cui Tim è fornitore e su cui Poste investe circa 800 milioni di euro all’anno. «Anche sull’energia avevamo detto in tempi non sospetti che la nostra strategia è quella della customer platform, ovvero di vendere assicurazioni, luce, gas ora abbiamo l’opportunità di avere anche un player come Poste con il quale si crea una possibile partnership» per la vendite negli uffici postali, ha aggiunto Labriola.A lungo termine
Più a lungo termine, resta da capire come Poste intenda,come dichiarato all’atto dell’ingresso in Tim, «favorire, con tutti gli attori interessati, il consolidamento del mercato delle telecom in Italia». L’opzione più immediata sarebbe l’aggregazione fra Poste e Tim nel mobile che, tuttavia, non porrebbe fine alla guerra dei prezzi che da anni sta falcidiando i ricavi e i profitti. A tal fine, secondo il parere unanime di Tim, WindTre, Iliad e Fastweb-Vodafone, occorrerebbe ridurre da quattro a tre il numero di operatori infrastrutturati sul nostro mercato. Prima della mossa di Poste, perciò, Iliad era pronta ad aggregarsi con Tim: il progetto prevedeva il suo ingresso nel capitale di Tim e coinvolgeva anche il fondo britannico Cvc. L’entrata di Poste Italiane in partita ha frenato il piano francese, ma non è detto che l’abbia bloccato del tutto. Iliad potrebbe infatti rientrare in partita, anche se non subito, per la parte consumer di Tim. Non essendo un operatore telefonico, Poste potrebbe valutare una cessione. «Il consolidamento ha molto senso da una prospettiva industriale — ha avvertito in settimana il ceo di Iliad, Thomas Reynaud — ma pensiamo che la finestra per realizzarlo potrebbe chiudersi presto».