La diffusione dell’IA generativa, con strumenti come ChatGPT, Gemini e altri, ha aperto nuove prospettive anche per il mondo dell’avvocatura. Automazione della ricerca giurisprudenziale, redazione assistita degli atti, ottimizzazione dei flussi di lavoro: le promesse sono ambiziose.
Ma come si integra realmente l’IA nel lavoro dell’avvocato?
«Oggi l’IA è in grado di risolvere problemi semplici, non complessi», afferma Marco Pesenti, Senior Partner di La Scala. «Nelle sue versioni attuali, non è ancora in grado di raggiungere grandi performance nel contesto dell’attività legale. In poche parole, è un ottimo assistente».
Un assistente, però, da utilizzare con consapevolezza e competenza:
«L’IA dà il meglio di sé solo quando viene guidata, come un collaboratore esperto. Servono input chiari, precisi, ben strutturati. Senza questi, il rischio è quello di ottenere risultati fuorvianti o errati. E serve sempre un controllo umano attento e competente».
«Non ci si può affidare all’IA per fare qualcosa che non si conosce o si conosce poco. Le competenze professionali non solo restano fondamentali, ma diventano ancora più centrali. Dobbiamo dimenticarci l’idea di far fare all’IA cose che non siamo capaci di fare noi: velocità e capacità di elaborazione non sostituiscono la competenza».
Il quadro normativo si muove, ma resta incompleto: dopo l’AI Act europeo, anche l’Italia ha approvato una legge sull’IA, ma serviranno almeno 12 mesi per i decreti attuativi. Intanto, molti interrogativi restano aperti.
La sfida? Capire cosa l’IA può fare, cosa deve fare e cosa non può fare al posto nostro. Per scoprire di più leggi l’articolo qui su Italia Oggi Affari Legali.