Con l’ordinanza n. 11972 del 7 maggio 2025, la Corte di Cassazione – Sezione II Civile – ha nuovamente affrontato il nodo problematico, e spesso frainteso, del rapporto tra detenzione qualificata e usucapione, stabilendo con fermezza che il conduttore, anche se rimasto nell’immobile per decenni oltre la scadenza del contratto di locazione, non può invocarne l’acquisto per usucapione in assenza di una chiara e inequivoca interversione nel possesso. Il provvedimento, pur nella sua forma ordinatoria, riafferma un principio cardine del nostro ordinamento civilistico: chi detiene un bene riconoscendo l’altrui proprietà – come nel caso del conduttore rispetto al locatore – non può iniziare a possedere uti dominus senza aver prima compiuto atti manifestamente incompatibili con la situazione di detenzione.
Il caso di specie trae origine da una controversia in cui il locatore, proprietario dell’immobile, ha agito in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto di locazione. A tale domanda ha replicato il conduttore opponendo una domanda riconvenzionale di accertamento dell’avvenuta usucapione del bene, sostenendo di averlo posseduto in modo continuativo, pacifico e pubblico per oltre vent’anni. Una pretesa, questa, che apparentemente trova fondamento nei requisiti formali dell’usucapione previsti dall’art. 1158 c.c., ma che crolla di fronte all’analisi giuridica più rigorosa compiuta dalla Corte.
Ciò che il conduttore non ha saputo (o voluto) dimostrare è il passaggio cruciale da detentore a possessore, ovvero l’interversione nel possesso. Questo elemento, spesso trascurato o dato per implicito da parte di chi occupa un bene da lungo tempo, rappresenta invece l’elemento fondante per interrompere la presunzione di detenzione e iniziare il computo utile per l’usucapione. Non basta, come afferma la Suprema Corte, la sola permanenza nell’immobile oltre il termine contrattuale né l’inadempimento al pagamento del canone: serve un comportamento che “rompa” in modo netto il vincolo di riconoscimento dell’altrui diritto, con atti concludenti, inequivocabili, tali da essere percepiti dal proprietario come una contestazione reale del suo diritto dominicale.
È qui che la Cassazione impone un rigore probatorio non indifferente: non vi è spazio per presunzioni, silenzi o inerzie. L’interversione deve emergere da fatti precisi, come ad esempio il rifiuto espresso e notificato di riconoscere la proprietà del locatore, la trascrizione di atti ostentatamente proprietari, la modifica dell’utilizzo dell’immobile in funzione esclusiva e contraria agli interessi del proprietario, o l’inizio di una gestione autonoma e aperta del bene, comunicata all’esterno come frutto di un titolo proprietario autonomo. Ma nessuno di questi elementi era presente nel caso in esame, né il conduttore ha offerto la minima prova in tal senso. L’occupazione ventennale, se non accompagnata da un atto di “rottura” col passato, resta giuridicamente una detenzione senza valore usucapente.
Dal punto di vista critico, la decisione della Cassazione va letta come un monito, anche culturale: l’istituto dell’usucapione, pur essendo uno strumento potente per consolidare situazioni di fatto divenute stabili nel tempo, non può essere banalizzato né abusato da chi approfitta della tolleranza altrui o delle disfunzioni del mercato immobiliare per mutare a proprio vantaggio una condizione precaria. È una tutela eccezionale che presuppone comportamenti coerenti con la volontà di agire da proprietario e che deve restare ancorata a un principio fondamentale: la certezza dei rapporti giuridici e il rispetto della proprietà altrui.
In un contesto in cui i rapporti locativi sono spesso caratterizzati da abusi, morosità, ritardi nei procedimenti esecutivi e difficoltà di recupero dei beni da parte dei legittimi proprietari, questa sentenza si colloca come un argine a derive interpretative pericolose, riaffermando il primato del diritto formale su quello “di fatto” e richiamando l’importanza della prova nell’ambito processuale. Il messaggio è chiaro: non si diventa proprietari per inerzia né si può usare il tempo come scorciatoia per scardinare titoli validi. L’usucapione è un istituto rigoroso, non una sanatoria per chi occupa senza titolo. E chi pretende di farlo, deve dimostrarlo con ben altro che la sola durata.