23.07.2025 Icon

Su chi può rivalersi l’assicuratore “distratto” che abbia erroneamente indennizzato il terzo danneggiato?

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha chiarito quali sono i rimedi a disposizione dell’assicuratore della r.c.a. che, per errore inescusabile, indennizzi il terzo danneggiato senza esservi tenuto.

Cassazione Civile, Sez. III, ordinanza 17 giugno 2025, n. 16213

Il caso concreto e la richiesta di rimborso dell’assicuratore

In particolare, nel caso di specie la ricorrente, assicuratore di uno dei veicoli coinvolti in un sinistro che aveva causato la morte del terzo trasportato, dopo aver risarcito i prossimi congiunti della vittima, aveva convenuto in giudizio l’impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, chiedendo il rimborso di quanto versato ai danneggiati in ragione del fatto che la responsabilità esclusiva del sinistro, all’esito degli accertamenti compiuti, andava ascritta esclusivamente al conducente dell’altro veicolo, privo di assicurazione.

A fondamento di tale domanda l’assicuratore aveva dedotto, in punto di diritto, che per effetto del pagamento si era surrogata nei diritti dei danneggiati verso l’impresa designata, ai sensi dell’art. 141 cod. ass., ma sia il Tribunale sia la Corte d’appello avevano rigettato la domanda, affermando che (a) in primo luogo, laddove il vettore assicurato non abbia alcuna colpa nella causazione del sinistro (come era stato accertato nel caso di specie), non si applica l’art. 141 cod. ass. e, di conseguenza, l’assicuratore del vettore che ha risarcito la persona trasportata non ha diritto al “rimborso” da parte dell’impresa designata e (b) in secondo luogo, e in ogni caso, l’art. 141 cod. ass., quand’anche applicabile, consentirebbe all’assicuratore del vettore, che abbia risarcito la persona trasportata, di rivalersi solo nei confronti dell’assicuratore del responsabile, ma non nei confronti dell’impresa designata dal FDGVS (qualora il responsabile, appunto, sia privo di assicurazione). L’assicuratore aveva quindi proposto ricorso per Cassazione, fondato su due motivi.

La risposta della Cassazione: esclusi i rimedi ordinari

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, osserva preliminarmente che nel caso di specie l’assicuratore sostiene di avere diritto al rimborso delle somme pagate ai danneggiati per essersi surrogata nei diritti di questi verso l’impresa designata, e che tale diritto e tale surrogazione in effetti esistono, ma scaturiscono da una norma giuridica diversa da quelle invocate dalla società ricorrente.

Più precisamente, i giudici di legittimità hanno rilevato come l’acquisizione di un credito per il solo fatto di avere effettuato un pagamento è ipotesi che può verificarsi solo nei casi previsti dalla legge, i quali sono riconducibili a due archetipi:

  1. il regresso (art. 1299 c.c.), che spetta al coobbligato solidale, è un diritto nuovo che sorge dal pagamento, e può variare anche quantitativamente rispetto al credito di cui era titolare l’accipiens;
  2. la surrogazione per volontà della legge (art. 1203 c.c.), che spetta a chi si trovi nelle condizioni ivi previste, non ha ad oggetto un diritto nuovo, ma lo stesso diritto di cui era titolare l’accipiens, e coincide necessariamente con quest’ultimo. Si tratta, in altri termini, di una successione a titolo particolare nella titolarità attiva dell’obbligazione.

Tutte le numerose ipotesi di regresso e di surrogazione previste dalla legge sono riconducibili all’uno od all’altro dei suddetti istituti generali, e nessuna di esse ha per presupposto il solo fatto di avere pagato il debito altrui.

Ciò premesso, la Corte procede quindi ad individuare la fattispecie alla quale poter ricondurre il caso del vettore che, in caso di morte di una persona trasportata, risarcisca i familiari della vittima senza esservi tenuto, essendo la responsabilità del sinistro ascrivibile unicamente all’altro veicolo (nella specie, non assicurato) e, nel farlo, offre un’interessante disamina dei vari rimedi previsti dalla legge.

Anzitutto, precisano i giudici di legittimità, non può trovare applicazione l’art. 141 cod. ass., che secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Corte, si applica soltanto alle ipotesi di danni consistiti in lesioni personali non mortali.

All’assicuratore non spetta nemmeno l’azione di regresso ex art. 1299 c.c., atteso che presupposto del regresso è la solidarietà passiva tra vettore e antagonista, mentre nel caso di specie la ricorrente non era debitrice dei danneggiati in solido con l’impresa designata.

D’altra parte, l’assicuratore non può invocare neppure l’azione di surrogazione ex art. 1916 c.c. Tale norma, infatti, consente all’assicuratore (ivi compreso quello della r.c.a.) di surrogarsi nella posizione dell’assicurato, non in quella del terzo danneggiato. Sennonché, tale surrogazione è concepibile solo quando l’assicurato abbia causato un danno in concorso con altre persone e sia dunque debitore dei terzi danneggiati, mentre nel caso di specie l’assicurato non era responsabile verso il trasportato, e non poteva avere crediti di regresso verso chicchessia.

Ancora, alla compagnia ricorrente non spetta l’azione di surrogazione ex art. 1203, n. 3, c.c. Tale ipotesi di surrogazione presuppone infatti che il solvens fosse tenuto “con altri” (l’archetipo di tale ipotesi è la solidarietà) o “per altri” (l’archetipo è la garanzia). Al contrario, nella specie l’assicuratore non era obbligato con altri perché non vi fu concorso di colpe; né “per altri”, perché il suo assicurato non era debitore della vittima.

Da ultimo, non è possibile invocare l’art. 1180 c.c., che disciplina l’adempimento del terzo, atteso che, secondo il principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte, l’adempimento spontaneo di un’obbligazione da parte del terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., se determina l’estinzione dell’obbligazione, non attribuisce automaticamente al solvens un titolo per agire direttamente nei confronti del debitore. Pertanto, il terzo che abbia pagato sapendo (o dovendo sapere) di non essere debitore può agire unicamente per ottenere l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, stante l’indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore (Cass. Sez. U., 29/04/2009, n. 9946).

Tutto ciò premesso, la Suprema Corte procede quindi a inquadrare la fattispecie in esame e le ragioni per cui, nonostante l’errata qualificazione giuridica offerta sia dalla ricorrente sia dall’impresa designata resistente, il ricorso deve considerarsi fondato.

Nella specie, precisano i giudici di legittimità, la compagnia ricorrente ha pagato un debito altrui, avendo risarcito i danneggiati da un sinistro stradale senza essere loro debitrice (debitrice era, infatti, la sola impresa designata dal FDGVS, atteso che responsabile era privo di copertura assicurativa). Il pagamento del debito altrui, come anticipato supra, non legittima automaticamente il solvens a pretendere la restituzione di quanto pagato (invece che dall’accipiens) dal terzo effettivo debitore, ma ciò non toglie che chi paga spontaneamente ha a disposizione alcuni rimedi. In particolare:

  1. se il suo errore fu scusabile, può ripetere dall’accipiens quanto pagato con l’azione di indebito soggettivo di cui all’art. 2036, comma primo, c.c., oppure promuovere nei confronti del terzo debitore l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.;
  2. se l’errore fu inescusabile, può ripetere quanto pagato dal terzo debitore, invocando l’art. 2036, terzo comma, c.c.

Errore inescusabile e surrogazione ex art. 2036 c.c.

Secondo la Suprema Corte, nel caso in esame l’errore della compagnia assicuratrice deve ritenersi inescusabile, in ragione del fatto che era già circostanza nota (o avrebbe dovuto esserlo agli operatori del settore) che l’art. 141 cod. ass. non potesse trovare applicazione in caso di sinistri mortali. Pertanto, una società assicuratrice di primaria importanza che, dopo otto anni dall’entrata in vigore d’una norma, e nonostante l’enorme produzione letteraria da essa suscitata, ne faccia un’applicazione scorretta, tiene una condotta colposa, e perciò inescusabile.

Ne deriva che, come detto, il pagamento del debito altrui avvenuto per errore inescusabile non è ripetibile dall’accipiens (nella specie, i familiari della vittima del sinistro), ma l’art. 2036, comma 3, c.c., stabilisce che colui che ha pagato subentri nei diritti del creditore e possa quindi pretendere dall’effettivo debitore il rimborso della somma pagata.

In definitiva, dunque, il subentro nei diritti di qualcuno costituisce una fattispecie di surrogazione, con conseguente fondatezza del ricorso della compagnia assicuratrice, nonostante quest’ultima avesse malamente individuato la norma fondativa di tale diritto di surrogazione (l’art. 1203 c.c. in luogo dell’art. 2036, comma 3, c.c.).

In conclusione, la Corte di Cassazione ha enunciato i seguenti principi di diritto:

l’assicuratore della r.c.a. che, per errore inescusabile, indennizzi il terzo danneggiato senza esservi tenuto, può esigere il rimborso di quanto pagato nei confronti dell’assicuratore dell’esclusivo responsabile, ai sensi dell’art. 2036, comma terzo, c.c.”.

Autore Eleonora Gallina

Associate

Milano

e.gallina@lascalaw.com

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