Cassazione Civile, Sez. III, 10 febbraio 2025, n. 3429
Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema dalla cumulabilità tra indennizzo dovuto dalla compagnia assicuratrice in forza di una polizza infortuni e il risarcimento dovuto dal terzo.
In particolare, nel caso di specie la ricorrente, già assicurata contro il rischio infortuni presso la compagnia assicurativa resistente, era rimasta vittima di un sinistro stradale, in conseguenza del quale aveva riportato lesioni personali permanente.
Indennizzo e risarcimento: non si sommano
La danneggiata aveva quindi richiesto alla propria assicurazione la corresponsione dell’indennizzo previsto dalla propria polizza, ma la richiesta era stata disattesa, in ragione del fatto che l’assicurata aveva già ottenuto il risarcimento del danno da parte dell’assicurazione r.c.a. del responsabile del sinistro. L’assicurazione, pertanto, facendo riferimento alla non cumulabilità tra indennizzo e risarcimento del terzo, rifiutava di corrispondere l’indennizzo, esigendo dall’assicurata la previa dimostrazione degli importi ricevuti dal terzo al fine di portarli a deconto dell’indennizzo contrattualmente dovuto.
L’infortunata aveva quindi convenuto in giudizio la compagnia assicuratrice, chiedendone la condanna al pagamento dell’indennizzo nella misura prevista dalla polizza, e rifiutando di esibire (anche a fronte dell’ordine del giudice di prime cure ex art. 210 c.p.c.) la documentazione riguardante il risarcimento ricevuto in ambito r.c.a. Sia il Tribunale, sia la Corte d’appello di Milano aveva rigettato la domanda, escludendo la cumulabilità tra indennizzo e risarcimento dovuto dal terzo.
La Suprema Corte, pur accogliendo parzialmente il ricorso per violazione, da parte della sentenza di appello, del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. e per omesso esame di fatti decisivi (nella specie, la documentazione inerente all’infortunio subito, che avrebbe giustificato l’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio, ingiustamente negata), ha offerto un’interessante disamina del tema della cumulabilità di indennizzo e risarcimento dovuto dal terzo, sancendone l’esclusione anche nel caso di rinuncia alla surrogazione da parte della assicurazione.
Più precisamente, i giudici di legittimità hanno rilevato come la tesi della ricorrente, volta a sostenere che il principio della compensatio lucri cum damno può venire in rilievo solo quando si controverta sul risarcimento di un danno, ma non quando si discuta dell’esecuzione di un contratto, sia manifestamente infondata, per tre ordini di ragioni.
In primo luogo, perché il contratto di assicurazione è aleatorio e non commutativo, nel quale l’alea consiste nell’avverarsi del rischio; se, dunque, il rischio si avvera ma le sue conseguenze sono eliminate da un terzo (nella specie, l’assicuratore della r.c.a.), cessa l’alea e, insieme ad essa, l’interesse dell’assicurato all’indennizzo (art. 1904 c.c.); diversamente ragionando, si giungerebbe alla paradossale conseguenza di ammettere che possa esistere un obbligo indennitario dell’assicuratore senza che esista un danno causato dall’avverarsi del rischio, trasformando così la causa del contratto di assicurazione da indennità in scommessa. In secondo luogo, perché né il risarcimento del danno né la stipula di un contratto di assicurazione possono mai arricchire il danneggiato o l’assicurato: nel primo caso lo vieta il principio di indifferenza del risarcimento di cui all’art. 1223 c.c. e nel secondo caso il principio indennitario di cui agli artt. 1904 e ss. c.c. In terzo luogo, perché, diversamente opinando, diverrebbe inspiegabile uno degli istituti più antichi e tipici del diritto assicurativo, ossia quello dell’abbandono, di cui all’art. 540 cod. nav.
Sempre nel rigettare gli ulteriori motivi di ricorso, la Suprema Corte esclude anche che l’applicazione del principio della compensatio lucri cum damno possa comportare una violazione dell’art. 1372 c.c. Secondo la tesi della ricorrente, infatti, i patti contrattuali in forza dei quali l’assicuratore aveva assunto l’obbligo di corrispondere un indennizzo predeterminato al verificarsi dell’infortunio non potrebbero essere vanificati per effetto dell’applicazione del principio in questione, a pena di violare l’autonomia e la libertà negoziale delle parti.
A tale proposito, infatti, i giudici di legittimità ricordano ancora una volta che il contratto di assicurazione è un contratto aleatorio e che l’assicuratore non è tenuto immancabilmente al pagamento dell’indennizzo, quando un sinistro non si è verificato o, pur essendosi verificato, non ne è derivato danno; che, di conseguenza, se l’esistenza della polizza è condicio iuris per l’obbligazione dell’assicuratore, l’esistenza del danno ne è la condicio facti. Ne deriva che, se il danno viene meno perché risarcito da terzi, viene meno ipso facto l’obbligazione indennitaria dell’assicuratore.
L’assicurazione contro gli infortuni e l’assicurazione sulla vita
La Suprema Corte precisa, inoltre, che l’assicurazione contro gli infortuni non mortali non è in alcun modo assimilabile (come sostenuto dalla ricorrente con il quarto motivo di ricorso) all’assicurazione sulla vita, con conseguente inapplicabilità del principio indennitario e cumulabilità dell’indennizzo dell’assicuratore con il risarcimento dovuto da terzi. Si tratta, infatti, di fattispecie radicalmente diverse, atteso che l’assicurazione sulla vita è solo quella in cui il pagamento dell’indennizzo dipenda dalla sopravvivenza o dalla morte, mentre l’assicurazione contro gli infortuni non mortali è un contratto indennitario che ha ad oggetto il danno alla persona, patrimoniale o non patrimoniale a seconda delle previsioni contrattuali, stimabile in denaro secondo quanto previsto dalle tabelle vigenti, come già affermato da diverse sentenze della stessa Corte (tra le altre, Cass. 13233/2014 e Cass. 14358/2019).
Alla luce di quanto precede, la Corte rileva come il tema della libertà negoziale sia estraneo al problema della compensatio lucri cum damni. Infatti, le parti di un contratto di assicurazione restano libere di fissare la misura dell’indennizzo nella misura che preferiscono, come consentito dall’art. 1908 c.c. Tuttavia, ciò non toglie che quell’indennizzo liberamente contrattato non perde mai la sua causa indennitaria; il suo scopo, in altri termini, resta quello di ristorare un pregiudizio, non di arricchire l’assicurato. Pertanto, una volta avveratosi il rischio, qualunque risarcimento pagato all’assicurato dal terzo responsabile andrà sempre a deconto dell’indennizzo dovuto dall’assicuratore per lo stesso fatto, quale che ne fosse la misura.
Da ultimo, la Corte ha escluso che la rinuncia alla surrogazione da parte dell’assicuratore contro gli infortuni consenta all’assicurato di cumulare l’indennizzo con il risarcimento dovuto dal terzo. Infatti, la surrogazione è un diritto di credito che l’assicuratore acquisisce ipso facto per effetto del pagamento dell’indennizzo all’assicurato. La rinuncia alla surrogazione è quindi un negozio unilaterale abdicativo di un diritto spettante all’assicuratore e comporta l’estinzione di quel diritto, ma non la sua retrocessione al dante causa di chi ha compiuto la rinuncia.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha enunciato i seguenti principi di diritto:
“l’assicuratore contro gli infortuni non mortali non è tenuto al pagamento dell’indennizzo, fino alla concorrenza del risarcimento che l’assicurato ha ottenuto, per il medesimo fatto, dal terzo responsabile“;
“la rinuncia dell’assicuratore alla surrogazione nei diritti del terzo che ha causato il danno oggetto di copertura assicurativa è un negozio abdicativo di un diritto proprio dell’assicuratore; tale rinuncia, pertanto, non fa risorgere il capo all’assicurato il credito risarcitorio nei confronti del terzo”.
26.11.2025