26.04.2023 Icon

La CTU in ambito di responsabilità medico-chirurgica come fonte oggettiva di prova

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. datato 19/5/18 Tizia allegava che, avendo deciso di ricorrere alla chirurgia estetica, nel settembre 2003 si rivolgeva alla dott.ssa Omissis, la quale prescriveva un intervento di mastoplastica additiva e lifting delle cosce, indicando quale struttura più idonea la Clinica K di Milano, dove, nel mese di ottobre, Tizia veniva ricoverata e sottoposta a due interventi dai medici operatori dott.ssa Omissis ed il dott. X.

Dimessa, nei mesi successivi, gli esiti dell’intervento si mostravano insoddisfacenti e, dopo circa un anno Tizia si rivolgeva ad altro chirurgo estetico che riscontrava asimmetria mammaria e prescriveva un nuovo intervento di simmetrizzazione dei seni e revisione del lifting, per un costo di 20.000,00 euro.

“Forte” di tale parere, nel gennaio 2005 Tizia inviava, per mezzo di un suo procuratore, una raccomandata con cui richiedeva alla dott.ssa Omissis, al dott. X ed alla Clinica K il risarcimento dei danni che riteneva aver subito.

I medici riscontravano la richiesta, mentre la Clinica non dava alcun riscontro.

La richiesta risarcitoria di Tizia veniva rinnovata nel febbraio 2010, anche ai fini interruttivi della prescrizione, ma ad essa non seguiva alcuna offerta. Tizia, pertanto, ma dopo oltre 8 anni dalla prima richiesta, notificava il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. nei confronti della Clinica K di Milano, chiedendo la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno quantificato in relazione ai costi della operazione correttiva ed il danno morale.

Lasciando in disparte la chiamata in garanzia propria ex art. 106 c.p.c. e le sollevate eccezioni processuali e di prescrizione, nel merito la Clinica K negava di aver intrattenuto con Tizia un rapporto di cura, deducendo di essersi limitata a mettere a disposizione la sua struttura al fine di consentire ai medici, non suoi dipendenti e prescelti dalla paziente, di eseguire l’operazione prescritta dagli stessi (oltre alla contestazione della quantificazione dei danni).

Alla prima udienza, il G.I. rilevato che non era stato promosso né ATP preventivo, né mediazione, facendo riferimento all’art. 8 commi 1 e 2 L. n. 24 del 2017, assegnava termine per l’inizio della procedura ex art. 969 bis c.p.c. e convertiva il rito in ordinario.

Svolto l’accertamento tecnico, il G.I., ritenuto che le prove richieste fossero relative a circostanze già verificate dai CTU, fissava udienza di precisazione delle conclusioni, ove la causa veniva trattenuta in decisione.

Sull’eccezione di merito della Clinica K, il Tribunale affermava la legittimazione passiva della Clinica K, richiamandosi all’orientamento per cui “In tema di responsabilità medica, nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell’art. 1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione di terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art. 2049 c.c.; pertanto, nel rapporto interno tra la struttura e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., atteso che, diversamente opinando, la concessione di un diritto di regresso integrale ridurrebbe il rischio di impresa, assunto dalla struttura, al solo rischio di insolvibilità del medico convenuto con l’azione di rivalsa, e salvo che, nel relativo giudizio, la struttura dimostri, oltre alla colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno sofferto dal paziente, da un lato, la derivazione causale di quell’evento da una condotta del sanitario del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità e, dall’altro, l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze, da parte sua, nell’adempimento del relativo contratto, comprensive di omissioni di controlli atti ad evitare rischi dei propri incaricati” (Cass. Civ. del 20/10/2021 n. 29001). Orientamento che, peraltro, il Tribunale riteneva confermato dalla L. n. 24 del 2017, la quale, all’art. 7, ha precisato come “la struttura sanitaria e sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti dalla struttura stessa, risponde ai sensi degli art. 1218 e 1228 c.c., delle loro condotte dolose o colpose“.

Quanto ancor più interessa della decisione in commento è tuttavia ― con riferimento alla ricostruzione del rapporto di causalità in ambito di responsabilità sanitaria, al c.d. “doppio ciclo causale” e al relativo riparto degli oneri probatori [per cui  “incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari” (fatto costitutivo del diritto), “mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza” (fatto estintivo del diritto)”] ―  l’affermazione della centralità della CTU, la quale, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertarli (consulente percipiente), essendo necessario e sufficiente in tale ultimo caso che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.

Ciò, soprattutto nelle ipotesi di accertamento della responsabilità medico-chirurgica, dove – essendo le conoscenze tecniche specialistiche necessarie non solo alla comprensione dei fatti ma alla loro stessa rilevabilità – la consulenza tecnica riveste carattere “percipiente”, “ponendosi … come fonte oggettiva di prova”.

Sul punto il Tribunale (invero fin da Trib. Milano, Sez. I, Sent., 12/07/2022, n. 6082Inizio moduloFine modulo) richiama il ragionamento di Cass. civ., Sez. Unite, 01/02/2022 n. 3086 secondo il quale (superando l’opposto orientamento formatosi a seguito della sentenza n. 31886/2019) “il consulente con riguardo a ciò che è oggetto di indagine esercita i medesimi poteri di accertamento che competono al giudice e che il giudice potrebbe esercitare da sè se disponesse delle necessarie cognizioni tecnico-scientifiche, similmente non è infondato ritenere, sempre nei limiti delle indagini commessegli e nel più generale rispetto – con la vista riserva sotto questo versante dei fatti modificativi o estintivi rilevabili d’ufficio – del principio dispositivo quanto alla deducibilità dei fatti principali posti a fondamento della domanda o delle eccezioni, che l’attività del consulente è chiamato a compiere per mandato del giudice non sia del tutto immune dal rifletterne in qualche misura anche le prerogative che questo può esercitare in campo istruttorio in disparte dalle sollecitazioni di parte” (sentenza che, proprio in riferimento al principio dispositivo, distingue, in materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni – fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso – dall’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi a valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c.).

Ebbene, il Tribunale di Milano (Tribunale Milano, Sez. I, Sent., 15/03/2023, n. 2132) ― muovendo dal principio secondo cui “per il Consulente Tecnico d’Ufficio non operano le preclusioni che operano per le parti poiché il perito, godendo dei medesimi poteri di accertamento del Giudice, analogamente a quest’ultimo può procedere d’ufficio anche nel caso in cui le parti siano incorse nelle preclusioni (in tal senso, si vedano l’art. 118 c.p.c., l’art. 213 c.p.c. e l’art. 2711 c.c.)” e che “di conseguenza, così come il Giudice non subisce alcuna preclusione ben potendo esercitare poteri istruttori d’ufficio (ex art. 183 c. 8 c.p.c.), “anche il consulente potrà procedere, nei limiti visti, a quegli approfondimenti istruttori che, prescindendo da ogni iniziativa di parte, nel segno caratterizzante della indispensabilità, appaiono necessari al fine di rispondere ai quesiti oggetto dell’interrogazione giudiziale” ― ha deciso recependo le conclusioni della CTU laddove è stato ritenuto che il quadro obiettivato a carico di Tizia non sarebbe stato da ricondurre a profili di censurabilità dell’operato del personale medico che, nel 2003, la sottopose ad intervento chirurgico presso la Clinica K e che “dalla documentazione clinica esaminata, non emergono elementi anche solo suggestivi per il ricorrere di criticità in ordine alla progettazione ed alla realizzazione dell’intervento chirurgico condotto in data 27.10.2003 da porre in relazione causale con” i danni lamentati dalla ricorrente, ritenendo – “tramite le risultanze della CTU medico-legale richiesta quale mezzo di prova dalle parti” – che “parte attrice non sia riuscita ad assolvere il proprio onere probatorio circa l’esistenza del nesso di causa fra l’intervento praticato e il danno alla salute subito. Conseguentemente, si afferma la soccombenza di Tizia nel presente giudizio, stante la circostanza che essi non abbiano assolto l’onere probatorio su di essa gravante ex art. 2697 c.c.”.

Autore Filippo Maria Rovesti

Lateral Partner

Roma

f.rovesti@lascalaw.com

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