In tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali, il principio dell’insindacabilità delle scelte gestorie è escluso nel caso in cui l’attività posta in essere dall’amministratore sia irragionevole, imprudente o palesemente arbitraria e contrastante con gli interessi sociali.
Il principio è stato confermato dalla recentissima ordinanza n. 23963 pronunciata dalla Corte di Cassazione lo scorso 27 agosto 2025, con la quale la Corte ha confermato l’impugnata sentenza della Corte d’Appello di Venezia che aveva condannato l’amministratore di una s.r.l. (ricorrente in Cassazione) al risarcimento dei danni cagionati alla società a causa delle sue condotte aventi “finalità distrattiva”. In particolare, il Fallimento della società (parte attrice in primo grado) contestava all’amministratore di aver compiuto alcune operazioni che avevano come unica finalità quella di appropriarsi, tramite una società straniera a lui vicina e/o riconducibile, delle risorse economiche della società amministrata (poi fallita), mediante la disposizione di pagamenti “preferenziali” a favore di tale società estera.
Al termine delle due pronunce di merito, la vicenda giungeva in Cassazione, ove la Corte veniva chiamata a valutare la corretta applicazione del principio di insindacabilità delle scelte gestorie poste in essere dall’organo gestorio (cd. business judgement rule).
In primo luogo, la Corte rammentava che, in generale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2476, 1° comma, e 1176, 2° comma, c.c., l’amministratore di una s.r.l. è tenuto ad agire con la diligenza dovuta in ragione della natura dell’attività svolta e senza incorrere in conflitto di interessi con la società amministrata. In ragione di ciò, l’eventuale condotta dell’amministratore che abbia fatto prevalere un interesse extrasociale che persegue un interesse “incompatibile con quello della società” e pregiudizievole per la stessa (nel caso in esame, un interesse esclusivamente personale dell’amministratore) integra un’ipotesi di illecito ai sensi dei due articoli suddetti.
A tale riguardo, la Corte precisava che la condotta esaminata è da valutarsi con un giudizio ex ante che
“tenga conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta analoga a quella adottata, nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare i margini di rischio connessi all’operazione”.
Proseguiva, poi, la Corte ricordando che il principio della business judgement rule non trova, dunque, necessariamente applicazione a tutte le attività e condotte poste in essere dall’amministratore di una s.r.l., posto che non è da escludersi
“la responsabilità contrattuale [n.d.r. dell’amministratore] nei confronti della società tutte le volte in cui l’operazione intrapresa dall’amministratore sia stata caratterizzata da irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà palese”.
In conclusione, la Corte effettuava anche una precisazione di natura processuale, affermando che data la natura contrattuale dell’azione di responsabilità proponibile da una s.r.l. nei confronti del suo amministratore, in tema di onere della prova, la società è tenuta solamente ad allegare l’inadempimento, incombendo, invece, sull’amministratore convenuto la prova del
“fatto estintivo del dovere gestorio asseritamente inadempiuto, e cioè di aver esattamente agito con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta”.
05.12.2025