26.06.2025 Icon

Libera trasferibilità mortis causa delle quote: c’è chi dice no!

È valida la clausola statutaria che subordina l’ingresso nella compagine sociale degli eredi del socio defunto al mero gradimento degli altri soci, in quanto non integra una violazione del divieto di patti successori.

Il Tribunale di Venezia ha confermato tale principio con la sentenza n. 4250, pubblicata il 22 novembre 2024, pronunciandosi al termine di un giudizio introdotto dalle eredi del defunto socio di una S.r.l. al fine di far dichiarare la nullità di una delibera assembleare per difetto assoluto di informazione, nonché l’invalidità di una clausola statutaria che limitava la trasmissibilità mortis causa delle partecipazioni sociali e, conseguentemente, l’accertamento dell’intervenuto acquisto della qualità di socie in capo alle attrici.

Nel caso concreto, alla morte di un socio di una S.r.l., il socio superstite esercitava il proprio diritto – attribuitogli da una clausola statutaria – di negare l’ingresso nella compagine sociale alle eredi del de cuius, optando per liquidare in loro favore la relativa quota associativa, come previsto dalla menzionata clausola.

In ragione di ciò, il socio superstite, divenuto socio unico a seguito dell’esercizio del predetto diritto statutario, approvava il bilancio di esercizio, senza convocare le eredi, che, d’altronde, non erano divenute socie. Tuttavia, queste ultime, rivendicando lo status di socie, impugnavano la delibera assembleare, eccependo la sua invalidità in quanto adottata sulla base della clausola statutaria in questione, da esse ritenuta illegittima. In particolare, le attrici sostenevano che la clausola fosse nulla in quanto contrastante con il divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c..

Il Tribunale, tuttavia, sosteneva che la clausola che subordina il trasferimento delle partecipazioni societarie al mero gradimento di altri soci (o di un socio investito di particolari diritti) – come nel caso concreto – è pienamente valida.

Invero, il Tribunale precisava che sebbene l’art. 2469 c.c. sancisca la libera trasferibilità delle partecipazioni nelle S.r.l., sia per atto inter vivos sia mortis causa, la stessa norma consente all’atto costitutivo di derogare a tale principio, permettendo di introdurre nello statuto clausole che limitano o escludono completamente la loro trasferibilità. In particolare, tali clausole trovano giustificazione nell’esigenza di valorizzare l’elemento personalistico che contraddistingue le S.r.l. e, quindi, nell’esigenza dei soci superstiti a mantenere una determinata composizione della compagine sociale, escludendo, o meglio, precludendo l’accesso a nuovi soci sgraditi.

Tra l’altro, i Giudici sottolineavano che la clausola in questione attribuisce agli eredi il diritto alla liquidazione della propria quota, quale controbilanciamento dell’ampia autonomia privata concessa ai soci nelle S.r.l., dovendosi, così, escludere che la clausola fosse contraria al divieto di patti successori, poiché non privava le eredi del valore delle quote, bensì limitava il loro diritto a divenire socie.

Autore Nicholas Bursic

Trainee

Bologna

n.bursic@lascalaw.com

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