L’amministratore risponde per il danno cagionato alla società a causa della mancata riscossione di un credito solamente quando detto credito non risulta più recuperabile.
La vicenda: azione di responsabilità contro l’amministratore
Il principio è stato espresso dal Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 2838/2024 pronunciata all’esito di un giudizio avente ad oggetto un’azione di responsabilità promossa da una società (S.r.l.) in liquidazione nei confronti del precedente amministratore unico della stessa, al quale venivano contestate plurime “violazioni delle disposizioni normative che presiedono all’esecuzione degli obblighi sul medesimo gravanti”. Nello specifico, venivano contestati al convenuto vari atti di mala gestio costituiti prevalentemente da attività distrattive del patrimonio sociale e dalla prosecuzione dell’attività d’impresa nonostante l’assenza di un’“effettiva prospettiva di continuità aziendale”.
Prescindendo da un’analisi puntuale dei vari atti asseritamente distrattivi del patrimonio sociale e fonte di danno per la società, si intende incentrare il presente contributo sul tema del mancato recupero dei crediti sociali da parte dell’amministratore, costituente una delle principali doglianze di parte attrice: quest’ultima, infatti, attribuiva all’amministratore convenuto la responsabilità per “aver effettuato una sorta di finanziamento senza mai pretenderne il rimborso” e gli contestava, altresì, di aver ceduto dei beni sociali senza incassare il prezzo pattuito.
Il principio affermato dal Tribunale: danno solo se il credito è irrecuperabile
Sul punto, il Tribunale rigettava la doglianza, affermando che una simile condotta non abbia provocato, in quanto tale, un danno per la società, poiché l’inerzia dell’amministratore unico nel recupero di un credito “provoca un danno alla società solo quando quel credito non risulta più recuperabile, perché prescritto o per sopravvenuta insolvenza del debitore”. Per contro, fintanto che detti eventi non si verificano, l’organo amministrativo ha sempre la possibilità di agire per il recupero del credito. Applicando dunque il principio al caso in commento, giustamente il Tribunale rilevava che, nonostante la società fosse stata dichiarata fallita, il curatore avrebbe potuto – e dovuto – attivarsi ed agire per il recupero del credito.
Analogamente, in riferimento al mancato incasso da parte della società del prezzo di cessione ad un terzo di quote detenute in altra società, il Tribunale riteneva che neppure ciò non fosse imputabile all’amministratore convenuto, in quanto “l’inadempimento di terzi non integra un danno ascrivibile a responsabilità dell’amministratore, a meno che la sua inerzia nell’esercizio dei diritti della società gestita abbia reso irrecuperabile tale credito”. Pertanto, essendo il terzo acquirente un soggetto esistente e solvente al momento dell’apertura della procedura concorsuale, anche il tal caso, sarebbe stato onere del curatore agire nei suoi confronti per il recupero di detta somma.
Il criterio generale: la responsabilità nasce solo con la perdita del credito
In generale, quindi, può senz’altro ritenersi che il mancato recupero di un credito della società costituisca un atto di mala gestio contestabile all’amministratore – e, come tale, risarcibile qualora ciò provochi un danno alla società – solamente laddove a causa dell’inerzia dell’amministratore, il credito sia diventato irrecuperabile.
07.11.2025