03.07.2025 Icon

Diritto del socio di minoranza agli utili nella S.p.a.: la discrezionalità assembleare non è abuso

L’accantonamento o il reimpiego degli utili nell’interesse della stessa società è censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.

Il principio è stato ribadito dal Tribunale di Milano, con sentenza n. 8449 del 1° ottobre 2024, con la quale è stata rigettata l’impugnazione – da parte del socio di minoranza – di una delibera assembleare con cui veniva approvato il bilancio di esercizio ed accantonato l’utile di esercizio a riserva straordinaria promossa. Nello specifico, l’impugnante riteneva che la società avrebbe dovuto distribuire gli utili, non sussistendo le ragioni addotte per il loro accantonamento e che, pertanto, la decisione era stata presa con “mero intenso persecutorio” nei suoi confronti.

Il Tribunale, tuttavia, rigettava l’impugnazione, riaffermando la vasta discrezionalità riconosciuta all’assemblea in merito alla destinazione degli utili, e ricordava che il diritto del socio di minoranza a percepire gli utili in una S.p.a. non può considerarsi né automatico né incondizionato, essendo subordinato all’adozione di una specifica delibera assembleare.

Distribuzione degli utili: ampia discrezionalità dell’assemblea

La pronuncia del Tribunale di Milano si inserisce nell’ambito di un consolidato orientamento giurisprudenziale, volto a bilanciare le prerogative decisionali della maggioranza con la tutela della minoranza. In particolare, l’articolo 2433 del Codice civile stabilisce che la deliberazione sulla distribuzione degli utili è adottata dall’assemblea che approva il bilancio. Ne consegue che l’organo assembleare, e dunque la maggioranza che lo compone, gode di un’ampia discrezionalità nel decidere in ordine alla destinazione degli stessi, potendo optare per la distribuzione, l’accantonamento a riserva ovvero il reinvestimento nell’interesse della società. Tale scelta è considerata espressione di “valutazioni e scelte imprenditoriali insindacabili”.

Abuso della maggioranza: quando si configura davvero

La discrezionalità dell’assemblea non può, tuttavia, ritenersi illimitata. Una delibera di mancata distribuzione degli utili può essere infatti oggetto di impugnazione ed eventualmente annullata se il socio di minoranza riesce a dimostrare che tale decisione è “abusiva”. In particolare, l’abuso si configura nei casi in cui la delibera: a) non trova alcuna giustificazione nell’interesse della società, perseguendo invece un interesse personale dei soci di maggioranza antitetico a quello sociale; b) è il risultato di un’intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a ledere i diritti di partecipazione e gli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza.

La sentenza in commento si pone in linea con questo orientamento, ribadendo che la scelta di non ripartire gli utili d’esercizio è una “fisiologica espressione del potere riconosciuto dalla legge alla maggioranza assembleare di decidere della loro destinazione … rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio, la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società”.

La pronuncia in esame pone, inoltre, in evidenza un profilo di rilievo relativo all’onere probatorio, precisando che grava sul socio di minoranza che contesta la delibera assembleare di accantonamento degli utili, adottata dalla maggioranza, l’onere di dimostrare, nell’ambito del giudizio di impugnazione, che tale decisione abbia ingiustificatamente pregiudicato la sua legittima aspettativa alla distribuzione dei profitti o alla remunerazione del capitale conferito. Tale prova può dirsi fornita solamente laddove emerga il carattere abusivo della delibera, in quanto intenzionalmente preordinata al perseguimento di un obiettivo antitetico all’interesse sociale, ovvero a cagionare un pregiudizio alla posizione degli altri soci, in aperta violazione del canone di buona fede oggettiva.

La mera reiterazione delle scelte di non procedere alla distribuzione di dividendi, pur potendo costituire un indizio sintomatico di una condotta prevaricatrice, non è di per sé idonea a comprovare l’intento di ledere la posizione dei soci di minoranza. Ciò in quanto la destinazione degli utili a riserva costituisce una fonte di non trascurabili vantaggi per il patrimonio sociale, determinando un incremento del patrimonio netto della società e, di conseguenza, del valore della partecipazione sociale, anche di minoranza, in sede di liquidazione o trasferimento. Nel caso di specie, il Tribunale di Milano ha ritenuto che le ragioni sottese alla scelta di destinare gli utili a riserva straordinaria fossero “puntualmente esposte” e legate a una “ponderazione del rischio” in attesa dell’esito di giudizi pendenti, concludendo che tale decisione, essendo una “scelta imprenditoriale”, non fosse sindacabile né rivelasse “indici di mala fede tali da poter configurare un abuso della maggioranza”.

In sintesi, il diritto agli utili per il socio di minoranza in S.p.a. ha natura potenziale e non automatica, essendo subordinato all’adozione di una specifica delibera assembleare. L’eventuale impugnazione per abuso di maggioranza è possibile, ma presuppone l’assolvimento di un rigoroso onere probatorio in capo al socio ricorrente, il quale deve dimostrare la sussistenza di un intento lesivo. Non è, per contro, sufficiente la mera mancata distribuzione degli utili né può rilevare un semplice dissenso rispetto alle scelte discrezionali di natura imprenditoriale adottate dalla maggioranza, in assenza di elementi che denotino mala fede o finalità pregiudizievoli.

Tribunale di Milano, Sezione Impresa, sentenza del 1° ottobre 2024, n. 8449.

Autore Giuseppe Agostino Gasparo

Associate

Milano

g.agostinogasparo@lascalaw.com

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