Con una recente pronuncia il Tribunale di Torino (Ordinanza del 23.02.2024 n. 14369), decidendo una class action proposta da una associazione di consumatori, ha dichiarato la nullità, per vessatorietà ai sensi dell’art. 33 del Codice del consumo, di alcune tra le più usuali/consuete clausole contenute in un contratto di fideiussione concluso tra un‘istituto di credito ed un consumatore.
Le clausole censurate di vessatorietà da parte del giudice subalpino sono le seguenti:
1. Clausola di sopravvivenza: secondo cui il fideiussore-consumatore garantisce l’obbligazione principale, con conseguente obbligo di restituzione delle somme, ancorchè questa venga dichiarata invalida;
2. Clausola di reviviscenza: per la quale il fideiussore, nel caso di restituzione da parte della banca a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti eseguiti dal debitore principale, resta comunque obbligato a rimborsare all’istituto di credito la somma garantita;
3. Clausola di pagamento a semplice richiesta scritta: secondo cui è sufficiente alla banca l’invio di una semplice richiesta scritta per obbligare il fideiussore a pagare immediatamente quanto ad essa dovuto;
4. Clausola di rinuncia o deroga al termine di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c.: per la quale la banca è sollevata dall’obbligo escutere il debitore o il fideiussore eltro il termine di sei mesi, che pertanto si intende derogato;
5. Clausola sull‘imputazione dei pagamenti: con la quale il fideiussore riconosce alla banca il diritto di stabilire a quali delle obbligazioni del debitore debbono imputarsi i pagamenti eseguiti da lui;
6. Clausola sul recesso della banca: secondo cui il fideiussore si priva del diritto di formulare eccezioni in merito al momento in cui la banca esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti col debitore principale;
7. Clausola sulla compensazione: che riconosce all’istituto di credito, al verificarsi di eventi pregiudizievoli, il diritto di operare la compensazione in qualunque momento e senza obbligo di preavviso e/o formalità, anche nell’ipotesi in cui il rapporto creditore sia intestato ad uno solo dei debitori ovvero al debitore ed alle altre persone, indipendentemente dalla quota di pertinenza di ciascuno.
Il Tribunale di Torino per giungere alle suddette conclusioni ha ampiamente attinto alle valutazioni formulte da Banca d’Italia nel provvedimento del 2.05.2005 in veste di Autorità garante della concorrenza del mercato. Come noto, in tale provvedimento sono state dichiarate lesive della libera concorrenza alcune delle clausole sopra richiamate ed applicate in una fideiussione omnibus in modo uniforme ed in forza del modello proposto dall’ABI. Il giudicante infatti ha ritenuto le predette valutazioni ″utili elementi di giudizio anche ai fini della questione consumeristica″.
Ciò non toglie, tuttavia, che il nucleo della motivazione si fondi espressamente sul paradigma generale rappresentato dal significativo squilibrio di cui all’art. 33 comma 1 cod. Cons.
Altro pilastro su cui si fonda la decisione è individuato nel principio enunciato dall’art. 34 comma 2 cod. Cons. secondo cui il giudizio di vessatorietà non può riguardare nè l’oggetto del contratto nè l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi. Più specificatamente il giudice precisa che ″nessuna delle clausole di rinuncia o limitazione alla facoltà di opporre eccezioni riguarda “prestazioni essenziali” e caratterizzanti del contratto. Al contrario, le rinunce o limitazioni vertono su aspetti marginali (clausole nn. 1 e 2, 6), regolano l’iniziativa processuale (nn. 3 e 4) oppure le modalità di soddisfacimento del credito (nn. 5 e 7) e quindi sono sottoposte al controllo contenutistico.″.
Occorre tuttavia rilevare che in un siffatto contesto di ampio riconoscimento della tutela del consumatore, il Collegio giudicante non omette di ritenere opinabile che ″l’istanza ex art. 1957 c.c. nei confronti del fideiussore debba assumere necessariamente veste giudiziale – com’è pacifico con riguardo al debitore (Cass. 29.1.2016 n. 1724; Cass. 18.5.2001 n. 6823; Cass. 12.11.2004 n. 21524; Cass. 14.7.1994 nn. 6604; Cass. 19.12.1985 n. 6498) –, poiché una richiesta di pagamento stragiudiziale rivolta al fideiussore è sufficiente ad avvertirlo che il debito garantito non è stato adempiuto, lo pone in condizione di pagare e agire in regresso nei confronti del debitore principale e, anche prima di aver pagato, di esercitare l’azione di rilievo (art. 1953 c.c.) nei confronti del debitore principale – e quindi in definitiva di adottare lui le “sollecite e serie iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito” – e, non ultimo, è certamente meno invasiva e aggressiva di un’azione giudiziale, con ciò che essa normalmente comporta: spese di lite, iscrizione di ipoteca giudiziale, esecuzione forzata sui beni ecc.″.
I Giudici, hanno ritenuto altresì sussistenti i requisiti dei ″giusti motivi di urgenza″ per l’adozione del provvedimento inibitorio, di cui agli artt. 140-ter e ss. Cod., invocati dall’Associazione ricorrente sulla base delle seguenti considerazioni ″Nella specie, la prestazione di garanzie personali accompagna normalmente la concessione di credito alla clientela, che è il cuore dell’impresa di una banca… Pertanto, deve ritenersi che le clausole vessatorie esaminate in quest’ordinanza, rimaste stabili nel tempo, nonostante le acquisizioni della giurisprudenza europea e italiana, siano di uso quotidiano da parte della Banca, sia per l’inserimento nei contratti nuovi, sia per la gestione del credito e delle garanzie nei contratti già stipulati e ancora pendenti…″.
In ragione di quanto sopra, il collegio giudicante ha ordinato quali misure adeguate e proporzionate alla natura provvisoria dell’azione promossa:
– la cessazione dell’uso delle clausole ritenute abusive da parte dell’istituto di credito;
– la pubblicazione sulla home page del sito della banca del dispositivo dell’ordinanza e del collegamento per la consultazione dell‘intero provvedimento;
– la comunicazione individuale a ciascun fideiussore che abbia agito in qualità di consumatore nel rilascio della garanzia ancora pendente e contenente almeno una della clausole sopra individuate, l’indicazione della facoltà di contestare la validità e l’eventuale uso di una o più delle clausole censurate.