24.10.2025 Icon

Titolarità del credito, quando la condotta della cedente vale più di mille parole

Interessante pronuncia della Corte d’Appello di Milano che, accogliendo l’appello promosso dalla cessionaria del credito, riforma la sentenza resa all’esito del giudizio di primo grado e accerta la piena titolarità del credito in capo a quest’ultima, valorizzando, in particolare, il comportamento della banca cedente che, pur avendo ottenuto il decreto, si disinteressava della vicenda, a seguito dell’intervenuta cessione.

Il caso: opposizione a decreto ingiuntivo e contumacia della banca

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Varese su istanza di una banca, con il quale veniva richiesto al debitore il pagamento di una somma oltre interessi e spese, in relazione ad un rapporto di conto corrente.

A seguito della notifica del decreto, l’ingiunto proponeva opposizione, ma la banca cedente, pur nella ritualità e tempestività della notifica dell’atto di citazione, non si costituiva e, pertanto, ne veniva dichiarata la contumacia.

Interveniva, invece, la cessionaria del credito, nella propria qualità di nuova titolare del credito per effetto di una cessione “in blocco” di crediti pubblicata in Gazzetta Ufficiale, chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo o, in subordine, la condanna del debitore al pagamento in proprio favore.

Il rigetto in primo grado per presunto difetto di prova

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il provvedimento monitorio, ritenendo che l’intervenuta non avesse fornito in giudizio la prova dell’inclusione del credito per il quale era causa nell’ambito della cessione dei crediti pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

Pertanto, la cessionaria interponeva appello, insistendo per l’errata decisione del Tribunale in ordine al difetto di legittimazione attiva, nonché per la presunta mancata prova del credito ingiunto.

Nel contesto così delineato si inserisce la pronuncia della Corte d’Appello di Milano, oggetto di commento.

Infatti, richiamando l’insegnamento della Suprema Corte secondo il quale:

in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione (Cass. civ. 16368 del 2025, Cass. civ. 31188 del 2017)”, la Corte adita afferma che “ […] Sussistono, poi, ulteriori elementi idonei a comprovare la titolarità del credito in capo alla cessionaria (omissis): da un lato, la condotta tenuta dalla cedente (omissis) nel periodo successivo alla data della cessione, la quale non si è costituita in giudizio, così dimostrando di essere consapevole di non avere più titolo né interesse a pretendere il pagamento; […]”. 

Quando la condotta processuale vale come prova della cessione

Dunque, insieme ad elementi già noti come il link consultabile che rimanda alla lista di cessioni oppure il possesso in capo alla cessionaria della documentazione inerente al rapporto bancario fonte della pretesa creditoria, un ulteriore profilo di rilievo ai fini della prova della titolarità del credito viene rappresentato dal comportamento sostanziale e processuale tenuto dalla banca cedente successivamente alla data di perfezionamento della cessione.              

In particolare, la circostanza che quest’ultima non si sia costituita in giudizio – pur essendo formalmente evocata quale originaria titolare del rapporto – assume valore sintomatico della piena consapevolezza, da parte della stessa, di non avere più alcun titolo né interesse a rivendicare il pagamento del credito oggetto di causa, rafforzando la presunzione di effettivo trasferimento del diritto di credito alla cessionaria.

Ne deriva che la condotta della cedente, ossia la mancata partecipazione al giudizio, può essere annoverata tra quegli elementi gravi, precisi e concordanti che, unitariamente considerati, offrono la prova dell’avvenuta cessione e dell’effettiva titolarità del credito in capo alla società cessionaria, la quale risulta, di conseguenza, legittimata ad agire e a proseguire nel recupero del credito oggetto di controversia.

Tant’è che, nel caso di specie, la Corte arriva a concludere: “Tali elementi, valutati complessivamente, consentono di ritenere provata la cessione e, conseguentemente, la titolarità in capo a [cessionaria] del credito in esame”.

La Corte d’appello ribalta il primo grado e conferma il decreto

Dunque, all’esito del giudizio di impugnazione, la Corte d’appello di Milano ribalta la pronuncia del Tribunale e, in accoglimento dell’appello, conferma in toto il decreto ingiuntivo, condannando altresì la parte appellata alla rifusione delle spese di lite, in favore della cessionaria, per entrambi i gradi di giudizio.

Autore Umberto Raschi

Associate

Milano

u.raschi@lascalaw.com

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