29.03.2024 Icon

Servicer non iscritti all’albo 106 TUB: e se la toppa (della Cassazione) fosse peggio del buco?!

Con un precedente articolo, (si veda nel dettaglio articolo del 16.1.2024: https://iusletter.com/dalla-redazione/diritto-della-banca-e-dei-mercati-finanziari/contratti-bancari/iscrizione-allalbo-ex-art-106-t-u-b-a-chi-spetta/) avevamo posto la nostra attenzione sul tema della legittimazione ad agire giudizialmente per il recupero dei crediti oggetto di cartolarizzazione da parte di soggetti non iscritti all’albo previsto dall’art. 106 del TUB.

Senza ripercorrere tutte le numerose pronunce che, con cadenza quasi giornaliera, sono state rese dai diversi Tribunali italiani a partire dalla seconda metà del 2023, ricordiamo che, di fondo, si riteneva che fosse necessaria l’iscrizione dei servicer all’albo previsto dall’art. 106 TUB per poter, appunto, svolgere attività di recupero giudiziale  in favore dell’SPV o che fosse necessaria la delega costituita in favore dello special servicer – non iscritto all’albo ex art. 106 TUB – da parte di soggetto appositamente delegato dall’SPV (il c.d. “Master Servicer”).

Con ordinanza n. 7243 resa in data 18 marzo 2024 la Suprema Corte si è pronunciata sulla questione spazzando di fatto via in un solo colpo tutte le incertezze derivanti dalle precedenti pronunce di merito rese sul punto e riportando (almeno parzialmente) il sereno nel mondo delle SPV e dei servicer che avevano iniziato a porsi seri interrogativi su un modus operandi sino ad ora apparentemente rodato.

In particolare, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che: “dal combinato disposto degli artt. 2, comma 6, della Legge 30 aprile 1999, n. 130, e 106 T.U.B. –  secondo cui il servizio di riscossione dei crediti ceduti nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione può essere svolto da banche o da intermediari finanziari iscritti nell’albo degli intermediari finanziari – non deriva la nullità del conferimento dell’incarico di recupero (anche forzoso) dei crediti ad un soggetto diverso dai predetti; né tale invalidità, che affligge il mandato, si ripercuote sugli atti compiuti nell’esercizio dell’attività.” (sic in ordinanza).

Inoltre, precisava la Suprema Corte che: “la tesi, infatti, ravvisa nelle citate disposizioni norme imperative inderogabili, in quanto poste a presidio di interessi pubblicistici, con la conseguente nullità, sotto il profilo civilistico, dei negozi intersoggettivi (cessione, mandato, ecc.) e degli atti di riscossione compiuti in loro violazione; − in proposito si osserva che, in relazione all’interesse tutelato, qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, ma ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di «preminenti interessi generali della collettività» o «valori giuridici fondamentali»; il mero riferimento alla rilevanza economica (nazionale e generale) delle attività bancarie e finanziarie non vale di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni del cd. “diritto dell’economia”, contenute in interi apparati normativi (come il T.U.B. o il T.U.F.); − in particolare, ad avviso del Collegio, le succitate norme non hanno alcuna valenza civilistica, ma attengono alla regolamentazione (amministrativa) del settore bancario (e, più in generale, delle attività finanziarie), la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri (anche sanzionatori) facenti capo all’autorità di vigilanza (cioè, alla Banca d’Italia) e presidiati anche da norme penali”

Subito dopo la pubblicazione di tale ordinanza, alcuni Tribunali (per es. Arezzo e Varese), chiamati a pronunciarsi sulla questione, si sono subito allineati al recente insegnamento della Suprema Corte ed hanno quindi rigettato le istanze/contestazioni mosse dai debitori nell’ambito dei relativi procedimenti di recupero del credito senza porsi tuttavia interrogativi sulla più ampia portata della pronuncia della Cassazione.

Ma, con provvedimento del 26 marzo 2024, il Tribunale di Modena si è discostato parzialmente da quanto stabilito dalla Suprema Corte ed ha ampliato la portata della questione.

Infatti, il Tribunale ha argomentato che “In parziale dissenso con le premesse espresse nella motivazione della pronuncia appena richiamata, laddove si afferma che la disciplina di cui agli artt. artt. 2, comma 6, della Legge 30 aprile 1999, n. 130, e 106 T.U.B, non sarebbe connotata in termini imperativi ([…] il mero riferimento alla rilevanza economica (nazionale e generale) delle

attività bancarie e finanziarie non valendo di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni del cd. “diritto dell’economia”), vuoi perché sotteso alla disciplina di settore è direttamente il dettato costituzionale in tema di tutela del risparmio e della stabilità dei mercati finanziari (di cui al 1° comma dell’art. 47 Cost: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”); vuoi perché le disposizioni in esame enucleano una riserva di attività finanziaria in capo a soggetti dotati di precisi requisiti soggettivi (riferiti tanto alle persone giuridiche esercenti le attività, quanto alle persone fisiche che ne siano esponenti aziendali), la cui verifica è preliminare all’iscrizione all’Albo ex art. 106 TUB; ne deriva, in termini positivi e imperativi, generali ed astratti, il divieto di esercizio di attività finanziarie indirizzato alla generalità degli operatori economici, soggetti non iscritti al precitato Albo”.

Conseguentemente, pur avendo rigettato l’istanza di sospensione della procedura esecutiva formulata dal debitore, il Tribunale ha disposto la trasmissione degli atti relativi all’attività di servicing alla Banca d’Italia ed alla competente procura della repubblica specificando nella parte motiva che è stato “Ritenuto infine doveroso che, a presidio dell’accertamento e della repressione di eventuali condotte vietate, questo Giudice si faccia carico della segnalazione alla Autorità di vigilanza e alla Procura della Repubblica in sede del possibile esercizio abusivo di attività finanziaria riservata da parte del servicer (omissis) e/o delle persone fisiche ad esso preposte, con l’ulteriore precisazione che, come già evidenziato, l’ordinamento riserva al SERVICER iscritto all’albo ex art. 106 TUB le attività di controllo e gestione delle operazioni di cartolarizzazione (cfr. supra, pag. 2), e non già quelle di mera riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e pagamento di cui  all’art. 2, comma 3, lett. c) della legge n. 130/1999, laddove, pare ricavarsi dai contenuti della Circolare Banca d’Italia n. 288/2015, il delegante assolva ai compiti deputati al servicer” .

Alla luce di tale pronuncia appare quindi evidente come la questione, apparentemente volta a conclusione sulla base di quanto previsto dalla Suprema Corte, sia invece destinata a rappresentare ancora terreno di confronto nell’ambito dei vari Tribunali coinvolti e possa estendersi ulteriormente alla luce dei nuovi profili di natura amministrativa/regolamentare/penale che sono stati introdotti proprio dall’ordinanza resa dalla Cassazione.

Autore Luciana Cipolla

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