La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14945 del 04/06/2025, si è pronunciata sull’istituto del disconoscimento della copia fotostatica, sottolineando come l’eccezione di non conformità tra copia ed originale vada sollevata in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale.
La vicenda processuale: tra contratto bancario e disconoscimento delle copie
Nel caso di specie, con sentenza del 21/12/2022, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva l’appello principale proposto dalla Banca, condannando la Società, debitrice principale, e la garante al pagamento, in favore dell’appellante, del dovuto.
Preliminarmente, il Collegio aveva constatato l’assolvimento del requisito della forma scritta dei contratti bancari contestati, la cui copia era stata consegnata al cliente e conteneva la sola sottoscrizione da parte di quest’ultimo; ciò premesso, aveva evidenziato che le parti appellate non avevano contestato la ricezione della documentazione contrattuale, essendosi limitate a disconoscere la conformità delle copie agli originali e, pertanto, risultava provata l’esecuzione del rapporto.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, aveva ritenuto inefficace il disconoscimento dei contratti bancari, in quanto non era stata mai negata l’autenticità delle sottoscrizioni di tutte le convenzioni contrattuali, né erano stati specificati gli aspetti differenziali delle copie rispetto agli originali.
Ricorso in Cassazione: il nodo del valore probatorio delle copie
Avverso la suddetta sentenza, l’obbligato principale ed il garante proponevano ricorso per Cassazione, lamentandone l’erroneità, in quanto la Corte distrettuale aveva consentito che la lite potesse essere decisa sulla scorta di documenti che non sarebbero dovuti entrare nel perimetro valutativo del giudice, poiché ritualmente e tempestivamente disconosciuti ex art. 2719 c.c.; inoltre, gli stessi non erano stati depositati, né in originale né in copia certificata conforme da pubblico ufficiale a tanto autorizzato.
Il ricorrente assumeva, in particolare che, contrariamente all’indirizzo della Corte di Appello, i disconoscimenti, rispettivamente compiuti dalla parte attrice e dal terzo chiamato, erano efficaci, non occorrendo alla loro completezza la specificazione degli aspetti differenziali delle copie rispetto agli originali, sia perché non richiesta né dalla lettera, né dallo scopo della norma, sia perché l’esistenza degli originali era negata.
Cosa richiede davvero l’art. 2719 c.c. secondo la Cassazione
Il suindicato motivo è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione, la quale, aderendo all’orientamento già dalla stessa tracciato, ha statuito che “in tema di prova documentale il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni (Cass., n. 16557/2019)”.
La Corte, riportandosi alle pronunce già emesse dalla giurisprudenza di legittimità ed in particolare alla Cassazione n. 40750/2021, ha sottolineato come tale conclusione si renda necessaria al fine di salvaguardare, in primo luogo, lo scopo della disposizione normativa di cui all’art. 2719 c.c., ovvero quello di delimitare l’oggetto del contendere, analogamente a qualsiasi domanda od eccezione.
Ebbene tale scopo potrebbe essere raggiunto solo nel caso in cui l’eccezione sia precisa e circostanziata.
Difatti, osserva la Corte, sarebbe “incoerente con elementari canoni di logica, oltre che col principio costituzionale ed eurounitario di ragionevole durata del processo, supporre che nel processo fosse consentito sollevare eccezioni senza indicarne con chiarezza inequivoca il fondamento fattuale. Così, ad esempio, della copia d’un documento si potrà sempre negare che differisca dall’originale quanto alla sottoscrizione, oppure al contenuto, od ancora alla data, od anche a tutti questi elementi insieme; non può per contro ammettersi che la parte controinteressata a quel documento possa limitarsi ad eccepire che “la copia non è conforme””.
Disconoscimento vs. diniego dell’originale: due istituti distinti
Da ultimo, i giudici di legittimità hanno altresì inteso chiarire la distinzione tra il c.d. “diniego di originale” ed il disconoscimento di conformità, statuendo come il primo abbia ad oggetto l’esistenza stessa del documento, con la finalità di espungerlo dall’ordinamento in quanto artificiosamente creato, e richiede la querela di falso, proponibile anche avverso la copia prodotta in giudizio, per rimuovere la sua efficacia probatoria di scrittura privata. Il secondo, invece, attiene al contenuto del documento prodotto in copia e non alla sua provenienza o paternità (presupponendo l’esistenza di un originale) e consente l’utilizzazione della scrittura e, in particolare, l’accertamento della conformità all’originale della copia prodotta anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
Conclusioni della Corte: disconoscimento inefficace senza specificità
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha rigettato il motivo di appello, riscontrando le seguenti omissioni da parte del ricorrente: mancata allegazione, in sede di appello, di specifiche difformità della copia; omessa indicazione degli aspetti differenziali della copia prodotta dalla Banca rispetto all’originale; mancata proposizione della querela di falso, che sarebbe stata necessaria in ordine alla negazione dell’esistenza degli originali dei contratti bancari.
04.11.2025