La responsabilità dell’Intermediario finanziario ex artt. 2049 c.c. e 31 TUF per il fatto illecito del suo consulente finanziario, è noto, è di natura oggettiva, essendo, tuttavia, necessaria l’esistenza di un collegamento tra le mansioni del preposto e il danno lamentato dal cliente ai fini dell’imputazione di tale responsabilità.
Secondo consolidata interpretazione giurisprudenziale, tuttavia, il nesso fra il danno lamentato dal cliente e l’esecuzione delle incombenze affidate al consulente finanziario non deve essere di stretta derivazione causale, essendo sufficiente, a tal fine, la sussistenza di un nesso di “occasionalità necessaria”, ossia che le incombenze svolte dal consulente preposto devono aver reso possibile o, comunque agevolato, la produzione dell’evento dannoso.
La giurisprudenza, tuttavia, tende ad escludere tale nesso di occasionalità necessaria laddove la condotta del danneggiato presenti dei connotati di anomalia o, addirittura, di collusione, desumibili da vari indici come l’esperienza acquisita dal cliente nell’investimento in prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimenti e le complessive condizioni culturali e socio-economiche (cfr. Cass. Civ. sez. III, 22 novembre 2018, Ord. n. 30161).
Con la pronuncia in commento la Corte di legittimità, nel respingere il ricorso proposto dal Cliente, ha ribadito che “in tema di intermediazione finanziaria, la società preponente non risponde solidalmente del danno causato al risparmiatore dai suoi promotori finanziari qualora il nesso di occasionalità necessaria tra il danno e l’esecuzione delle incombenze affidate a questi ultimi sia interrotto dalla condotta del danneggiato, il quale, inosservante ai canoni di prudenza e agli oneri di cooperazione nel compimento dell’attività di investimento, serbi un contegno anomalo, contrassegnato da collusione o consapevole acquiescenza alla violazione delle regole ordinarie sul rapporto professionale con il cliente e sulle modalità di affidamento dei capitali da investire”.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha dato atto che il giudice a quo aveva logicamente argomentato in merito alla ritenuta sussistenza di plurimi e significativi elementi che consentivano di escludere la sussistenza del c.d. nesso di occasionalità necessaria e, quindi, la responsabilità dell’Intermediario finanziario convenuto/appellato, tenuto conto delle modalità di svolgimento del rapporto fra il Consulente preposto e il Cliente, quali il grado di preparazione professionale (di agente immobiliare) del Cliente, la mancata richiesta agli intermediari di un rendiconto delle rilevanti somme di denaro consegnate al Consulente, la mancata riferibilità agli intermediari dei moduli sottoscritti e rilasciati a conferma degli investimenti e la consegna delle ingenti somme di denaro, in contanti o con assegni intestati a terzi; tutti elementi che, complessivamente esaminati, consentivano di escludere la sussistenza del c.d. nesso di occasionalità necessaria tra la condotta illecita del Promotore e gli incarichi ad esso affidati dall’intermediario, che si avvalevano della sua opera professionale.
In altri termini, la Corte di merito, dopo aver riportato la motivazione del giudice di primo grado, aveva, sua volta, ravvisato nella condotta del Cliente una serie di anomalie, analiticamente ripercorse, dalle quali aveva desunto (e, quindi, ritenuto provato per presunzione) che lo stesso era nelle condizioni di cogliere la estraneità dell’ente intermediario rispetto all’operazioni compiute: quanto precede ad esito di un articolato iter argomentativo e di una valutazione in fatto, che, essendo esente da vizi logici o giuridici, è stato ritenuto insindacabile in sede di legittimità.