09.01.2024 Icon

Previsioni contrattuali a “zero” ed esercizio dello jus variandi

Con una recente pronuncia (n. 6781 del 3 luglio 2023), il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario ha sancito il seguente principio di diritto: “Ai fini della valutazione della legittimità della modifica unilaterale, per come declinata dall’art. 118 TUB, occorre tener conto del concreto assetto di interessi che le parti hanno voluto fissare nello specifico regolamento contrattuale. Pertanto, ove la valorizzazione a zero di un costo sia indicativa di un servizio non fornito dall’ intermediario, la relativa modifica unilaterale ex art. 118 TUB equivale all’inserimento di una nuova clausola originariamente non prevista dal contratto. Quest’ultima, in quanto tale, è illegittima“.

Il caso sottoposto all’attenzione del Collegio riguardava la modifica unilaterale, operata dalla Banca, di una clausola relativa al canone annuo di un conto corrente bancario. Il ricorrente ricorreva all’Arbitro, deducendo, in particolare, l’illegittimità delle modifiche intervenute unilateralmente sul contratto, in quanto estranee all’ambito applicativo dell’art 118 TUB.

Il Collegio di Milano rimetteva, quindi, al Collegio di Coordinamento la questione della riconducibilità all’art. 118 TUB della modifica unilaterale del contratto avente ad oggetto condizioni economiche sin dall’origine valorizzate con un indicazione numerica pari a “zero”.

Il Collegio rimettente, mediante un excursus preliminare sugli ondivaghi orientamenti giurisprudenziali, osservava come un primo filone, prevalente fra i Collegi territoriali, non lasciava alcuno spazio all’esercizio dello jus variandi in presenza dell’indicazione di una voce di costo, valorizzata a “zero” nella documentazione contrattuale. Al contrario, un secondo orientamento, reputava ammissibile la modifica di una condizione economica del contratto anche in presenza di un parametro negoziale originariamente fissato a “zero”.

Dopodiché, il Collegio rimettente, metteva in luce le implicazioni derivanti dall’adesione all’uno piuttosto che all’altro orientamento, osservando che “ammettere che, sempre e in ogni caso, la semplice indicazione nel contratto di una condizione economica consente all’intermediario di aumentare unilateralmente gli importi addebitati alla clientela agevola, probabilmente, iniziative commerciali opportunistiche”. Al contrario, “affermare che valorizzare a zero una condizione contrattuale equivale a non scrivere tale clausola nel regolamento (con conseguente impossibilità per ‘intermediario di procedere unilateralmente alla modifica del parametro contrattuale) implica un eccesso di protezione della clientela, che pare mal conciliarsi con le altre tutele espressamente previste dall’ordinamento“.

Orbene, il Collegio di Coordinamento, con la pronuncia in esame, evidenzia preliminarmente che “la facoltà degli intermediari di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali è disciplinata dall’art. 118 TUB, comma 1, ai sensi del quale: Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo“. Attraverso il predetto meccanismo di modifica, si precisa, possono essere modificate solo le clausole contrattuali già esistenti, ossia già previste in contratto, “in modo da garantire la permanenza dell’equilibrio sinallagmatico del contratto“. Il vaglio sulla novità della clausola modificata rende, pertanto, necessaria un’operazione di confronto della modifica con il regolamento contrattuale originariamente pattuito e dei suoi effetti sul sinallagma.

Il Collegio richiama, infine, il principio di diritto secondo cui “pare corretto ritenere che non sia una semplice modifica l’introduzione ex novo di un onere, un obbligo, una controprestazione o qualsivoglia altro termine o condizione (economica o normativa) nel contratto…[perché] tali variazioni si traducono nell’aggiunta di novi costi, in quanto non si pongono come mera modifica di oneri già previsti nel contratto e realizzano, cosi, un ‘alterazione del sinallagma negoziale in senso sfavorevole al cliente“. Pertanto, la modifica proposta nel caso in esame riguardava, a parer del Collegio, non tanto l’aumento di un costo connesso ad una prestazione già prevista, quanto la previsione di un costo non collegato ad alcun servizio e, quindi, *nuovo”. Nello specifico, l’aumento di un costo indicato a “zero” nel contratto a un qualsivoglia valore positivo, non può reputarsi modifica contrattuale legittima nella prospettiva di cui all’art 118 TUB, poiché, in principio, l’introduzione di un costo in precedenza non previsto non può mai rappresentare l’esito di un valido esercizio dello jus variandi.

Per tali ragioni, la pronuncia in esame, accerta l’inefficacia dell’intervenuta modifica unilaterale, dichiarando non dovuta la nuova voce di costo e disponendo la restituzione delle somme nelle more corrisposte alla Banca dalla parte ricorrente.

La soluzione offerta dall’ABF e, nello specifico, l’idea secondo cui l’indicazione a “zero” nel contratto del costo di una prestazione obbligatoria della banca significherebbe che tale prestazione non è stata considerata dalle parti e che, quindi, dare un prezzo a detta prestazione significherebbe considerarla ex novo, “introducendola” nell’accordo, non convince quanti ritengono l’indicazione di un costo a “zero”, nell’ambito di un accordo, quale indicazione rappresentativa di un vero e proprio accordo sul prezzo.

Difatti, secondo tale orientamento, attraverso la previsione contrattuale a “zero” viene negozialmente determinata la gratuità della specifica prestazione cui risulta tenuta una delle parti dell’accordo (nel caso in esame la banca) e tale clausola rappresenta, ad ogni effetto, una vera e propria “condizione contrattuale”, rilevante ex art. 118 TUB, dunque modificabile utilizzando il peculiare meccanismo previsto dalla norma.

Autore Sara Zappavigna

Associate

Milano

s.zappavigna@lascalaw.com

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