L’affitto d’azienda può preservare valore, sostenere la continuità e facilitare un percorso di risanamento. Ma il canone deve essere determinato con metodo, perché è uno dei punti più sensibili nella tutela della massa dei creditori. Non basta guardare ai flussi attesi né replicare percentuali di comodo: serve una logica economica solida, ancorata al capitale trasferito e ai rischi effettivi.
I flussi futuri non possono essere la base della stima. L’affitto d’azienda è diventato uno degli strumenti più utilizzati per tenere in vita imprese in crisi, ma sulla determinazione del canone c’è ancora una zona grigia che crea problemi a liquidatori giudiziali, advisor e tribunali.
Nella prassi circolano formule generiche, percentuali “di mercato” e applicativi standard che sembrano funzionare finché non si misura il danno per i creditori. In fase di concessione, i flussi futuri dell’azienda sono un’incognita. Dipendono dalla qualità della gestione dell’affittuario, dalla capacità di mantenere la clientela, dagli investimenti necessari e dal contesto settoriale. Non solo: l’affitto stesso altera i flussi.
Se il canone è elevato, comprime i margini e peggiora la performance attesa; se è troppo basso, consente all’affittuario di ottenere un vantaggio indebito a scapito della procedura.
In altre parole, stimare il canone in base ai flussi significa costruire un valore su grandezze che il contratto stesso modifica. È un paradosso che, nelle procedure concorsuali, può tradursi in un danno economico concreto per la massa dei creditori, perché un canone sottostimato equivale a un trasferimento improprio di valore.
Per questo la metodologia corretta parte da ciò che è certo: la quantità di capitale effettivamente trasferita.
Il capitale economico come fondamento del canone. Il canone congruo nasce dal capitale economico dell’azienda, non da ciò che potrà produrre. Quello che viene consegnato all’affittuario non è un flusso, ma un complesso di beni materiali e immateriali, un’organizzazione, un insieme di rapporti economici e di potenzialità.
Questo capitale ha un valore che può essere stimato in modo ragionevolmente oggettivo, anche quando l’azienda è in difficoltà.
La stima patrimoniale complessa (patrimonio netto rettificato più beni immateriali non iscritti in bilancio) consente di misurare un valore di stock che non dipende dalle performance dell’affittuario né dalle aspettative su flussi futuri incerti.
Da questo valore vanno comunque sottratti gli elementi non trasferiti, come il capitale circolante non incluso nell’affitto, immobilizzazioni non operative o beni destinati ad altre finalità. Il perimetro dell’affitto deve essere chiaro: il canone deve remunerare solo ciò che l’affittuario riceve realmente.
La doppia natura del canone: remunerazione e tutela del valore. Una volta isolato il capitale economico trasferito, il canone deve svolgere due funzioni.
La prima è la remunerazione del capitale, cioè il “premio” che il locatore riceve per aver affidato l’azienda a un terzo, rinunciando temporaneamente ai frutti che potrebbe produrre. La seconda è la protezione dal deterioramento del valore aziendale, perché durante l’affitto il locatore sopporta il rischio che i cespiti perdano valore o che l’avviamento si riduca.
Se il tasso di remunerazione non tiene conto di questi rischi, il canone risulta artificiosamente basso. Se li sovrastima, diventa antieconomico e rende l’affitto insostenibile. Il punto di equilibrio non è semplice: richiede analisi del settore, valutazione della stabilità della clientela, esame delle garanzie contrattuali, analisi dei costi di mantenimento e della reale capacità dell’affittuario di preservare l’avviamento.
Il tasso di remunerazione: dove si colloca e come si costruisce. La scelta del tasso non è un esercizio puramente finanziario. Deve incorporare variabili di rischio che cambiano da caso a caso. In contesti stabili, con un affittuario di buon profilo, il tasso può essere relativamente contenuto, vicino a livelli che riflettono un rischio moderato.
Quando invece la solidità del conduttore è dubbia, il settore è volatile o il contratto non prevede garanzie adeguate, il rischio sale e il tasso deve seguirlo.
Il limite superiore è il costo del capitale tipico dell’impresa. Superarlo significherebbe imporre un canone che l’affittuario non potrebbe sostenere senza compromettere la continuità, con l’effetto di rendere l’affitto inutile e potenzialmente dannoso.
Nella pratica, il tasso oscilla quindi in un intervallo definito, che va dalla remunerazione minima del capitale in contesti quasi privi di rischio, fino a valori prossimi ai rendimenti richiesti dagli investitori per attività aziendali con rischio pieno. L’intervallo è ampio, e proprio per questo la selezione deve essere documentata e razionale.
Le scorciatoie che creano distorsioni. Una parte rilevante degli errori deriva da tecniche approssimative che continuano a circolare nella prassi, soprattutto nelle procedure dove i tempi sono stretti.
Le percentuali applicate al fatturato sono uno degli esempi più diffusi: semplici, immediate e totalmente disancorate dal capitale trasferito. Possono essere utili per un riscontro di massima, ma non possono diventare la base di un canone che deve tutelare la massa dei creditori.
Anche l’attribuzione di “mini-canoni” ai singoli asset (immobile, impianti, avviamento) crea valori incoerenti e spesso sopravalutati o sottovalutati, perché ignora l’integrazione tra gli elementi del complesso aziendale.
Le aziende non funzionano come somma di componenti isolate: valutarle in questo modo produce stime che non hanno fondamento economico.
Un altro problema ricorrente è la mancata considerazione della perdita potenziale dell’avviamento. Se l’affittuario non riesce a mantenere il livello di servizio o non investe in continuità, l’avviamento può degradarsi in pochi mesi, erodendo parte del valore del locatore. Questo rischio deve rientrare nella logica del canone.
Perché nelle procedure concorsuali il canone vale doppio. Nelle procedure concorsuali l’affitto non è un contratto neutro. Il canone influisce direttamente sui flussi disponibili per i creditori. Un canone sottostimato può tradursi in un danno economico importante, soprattutto quando l’affitto è propedeutico a una futura cessione, oppure quando rappresenta la principale fonte di flusso durante l’esercizio provvisorio.
In molti casi, inoltre, il canone diventa uno dei criteri per valutare la serietà dell’offerta di un potenziale acquirente, o per confrontare proposte alternative in sede competitiva.
Per questo una determinazione approssimativa non è solo tecnicamente inadeguata, ma può alterare l’equilibrio dell’intera procedura.
La costruzione del canone: un processo che richiede metodo. Determinare un canone congruo richiede un approccio ordinato.
Si parte dal valore economico, si definisce con precisione il perimetro dei beni trasferiti, si valuta l’erosione attesa dei cespiti, si stima un tasso coerente con i rischi e si verifica la sostenibilità della gestione da parte dell’affittuario.
Il risultato deve essere un valore difendibile, trasparente, replicabile, capace di resistere alle contestazioni e coerente con gli obiettivi della procedura.