Il Pil del Mezzogiorno tra il 2021 e il 2024 è cresciuto dell’8,5%, ben più del 5,8% del Centro-Nord. Anche i posti di lavoro sono aumentati in misura molto consistente, 8% contro il 5,4% del resto del Paese. Eppure i giovani continuano a fuggire, e anzi la metà dei circa 175 mila under 35 che negli ultimi tre anni sono andati via con un biglietto di sola andata ha una laurea, una quota maggiore rispetto alle medie del passato, quando gli emigranti in possesso
di un titolo universitario erano circa un terzo. Un paradosso solo apparente, dimostra il Rapporto Svimez, che per il Mezzogiorno rivendica, già nel titolo scelto quest’anno, il diritto di restare oltre a quello di andare via: “Freedom to move, right to stay”. La presentazione del direttore della Svimez Luca Bianchi viene preceduta da alcuni spezzoni del film di Massimo Troisi “Ricomincio da tre”: si vedono tutte le scene in cui il protagonista, il napoletano Gaetano, rivendica il diritto di viaggiare per scoprire il mondo, senza essere bollato necessariamente con la qualifica di “emigrante”, alla quale però alla fine è costretto a rassegnarsi. Come i meridionali odierni, che emigrano per mancanza di alternative valide, perché anche gli importanti risultati economici messi a punto negli ultimi anni, grazie soprattutto agli investimenti del Pnrr, e alla soglia minima del 40% riservata al Mezzogiorno, non bastano ancora a garantire un lavoro e una vita decenti, soprattutto a chi ha investito tempo e risorse nella formazione. I nuovi posti cresciuti con il Piano sono legati soprattutto alle infrastrutture. Imponente la spinta data dai Comuni, tre cantieri su quattro sono in fase esecutiva.
Poi c’è il turismo, che assorbe una parte importante nell’occupazione. Ma quello del Mezzogiorno rimane comunque lavoro povero: la caduta del potere d’acquisto dei salari è stata del 10,2% contro l’8,2% nel Centro-Nord, e al Sud vive la metà dei 2,4 milioni di lavoratori poveri rilevati in Italia, cresciuti tra il 2023 e il 2024. Non basta avere un’occupazione per uscire dalla povertà: bassi salari, contratti temporanei, part-time involontario e famiglie con pochi percettori ampliano la vulnerabilità. Ecco perché i giovani continuano a fuggire, soprattutto se in tasca hanno una laurea: la maggior parte di loro si ferma al Nord, sostituendo chi invece da lì va all’estero.
Una questione che si porrà ancora di più quando il ciclo degli investimenti del Pnrr si concluderà: c’è la Zes unica, ci sono anche grandi aziende che stanno scommettendo sulle nuove tecnologie, ma sono strade che vanno percorse con maggiore convinzione, sottolinea Luca Bianchi: «Ora la sfida è dare continuità a questo ciclo d’investimenti. Bisogna migliorare la spesa delle politiche di coesione e ricostruire un quadro di politica industriale che valorizzi la grande impresa del Mezzogiorno e i tanti settori che stanno vincendo la sfida della competitività, in direzione coerente con le politiche industriali europee».
Il diritto di restare viene rivendicato con maggiore forza rispetto al passato anche dagli stessi giovani: pochi giorni fa 45 organizzazioni siciliane hanno firmato il “Patto per restare”, un’iniziativa che è il risultato di un percorso avviato nel 2022, su impulso del Centro Studi Giuseppe Gatì di Campobello di Licata, attraverso il progetto “Questa è la mia terra”. Anche questi giovani chiedono di investire nei settori emergenti, creando opportunità valide di lavoro, che permettano loro di non essere costretti a emigrare.