Lo scontro con il Governo sul Golden Power? È «meglio una soluzione negoziale». Il ceo di UniCredit Andrea Orcel lo dice a chiare lettere durante l’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e assicurativo in Senato. E tiene così a sottolineare la necessità di un dialogo che forse fino ad oggi è mancato nei rapporti, a dir poco conflittuali, con l’Esecutivo. Una posizione aperta al dialogo, maturata dopo che la banca ha deciso di impugnare davanti al Consiglio di Stato la sentenza del Tar che aveva in parte confermato il decreto del Governo, successivamente al ritiro dell’Ops su BancoBpm. «Nella vita non si esclude mai niente ma per noi Banco Bpm è un capitolo chiuso», dice Orcel ribadendo così un messaggio già dato più volte al mercato. Le ragioni della chiusura sono molteplici, ma il punto centrale oggi è l’assetto proprietario. «L’azionariato ormai è cambiato ed esiste un azionista che, de facto, ha il controllo relativo», dice il manager riferendosi a Crédit Agricole, oggi intorno al 20% del capitale ma oramai prossimo a salire al 25 per cento. «Valutare l’operazione in una situazione azionaria così mutata non la rende più attraente», taglia corto il banchiere.
Ma se la partita su Piazza Meda sembra archiviata, il risiko bancario non lo è. «Questo non vuol dire che se ci fossero possibilità di fare qualcosa in Italia non lo faremmo: lo faremmo», dice Orcel. L’importante è rispettare «i nostri criteri», aggiunge sottolineando come una delle ragioni del ricorso presentato al Consiglio di Stato sul Golden power «è proprio quella di eliminare incertezza». Il punto è decisivo. E non a caso il ceo si sofferma a lungo proprio sul tema dei poteri speciali esercitati dal Governo, contestandone l’applicazione nel caso dell’Ops su piazza Meda. Perché l’intervento dell’Esecutivo in quell’occasione — sottolinea — è avvenuto «sulla base di informazioni non corrette fornite da Banco Bpm». Da qui la scelta di tutelarsi legalmente: «Il ricorso è un atto dovuto per proteggere i nostri azionisti, chiarire il quadro regolatorio e garantire certezza per eventuali operazioni future». Certo la «nostra preferenza» continua a rimanere quella di «una soluzione negoziale costruttiva».
Insomma, nessuna voglia di duellare sotto il profilo legale. Perché l’obiettivo è solo quello di una definzione più chiara del quadro «in caso di future operazioni». Sguardo avanti, è il messaggio che arriva da piazza Gae Aulenti. Però con la convinzione che non è accettabile l’affermazione secondo cui «potremmo rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale del nostro Paese. Siamo un gruppo europeo e la seconda banca in Italia per quota di mercato».
L’appuntamento in Senato è anche l’occasione per fare il punto su altri dossier finanziari strategici in cui è impegnata la banca. A partire da Generali, dove UniCredit è scesa al 2%. Qui «osserviamo la situazione» e la cooperazione industriale resta possibile «anche senza partecipazioni azionarie». Sul fronte tedesco, il percorso appare più lungo: «Con Commerzbank ci vorrà tempo, ma stiamo tentando di far comprendere che un’operazione potrebbe creare valore per tutti». Nessuna intenzione, comunque, di spostare la sede in Germania: «Siamo un gruppo federale e tale resteremo».
Ampio spazio, infine, è dedicato anche alla gestione della presenza in Russia. «Abbiamo ancora 3,5 miliardi di capitale bloccati nel Paese. Chiudere tutto significherebbe regalarli», sostiene. «Se la banca fosse nazionalizzata, avremmo un credito perpetuo verso la Federazione; se la regalassimo, no». UniCredit ha già ridotto del 95% i prestiti, portato i depositi da 7,7 miliardi a 900 milioni e punta a chiudere il retail entro il secondo trimestre 2025. «Moralmente – conclude – è la scelta giusta».