Costi più elevati, ma soprattutto un iter normativo e burocratico che può anche raddoppiare i tempi di cantiere. Costruire su brownfield – ovvero utilizzando terreni precedentemente urbanizzati e dismessi per la costruzione di nuovi edifici residenziali o industriali – dovrebbe essere la strada maestra, in un Paese come l’Italia che è il quinto per consumo di suolo in Europa, ha oltre 310 km quadrati di edifici non utilizzati e il 7,16% di superficie impermeabilizzata, contro una media europea che va poco oltre il 4%, come rilevano l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
Eppure complessità normative e burocratiche continuano a rendere più percorribile lo sviluppo su terreni non edificati, a meno che la location non sia così premium – in aree urbane o lungo grandi arterie di transito, nel caso della logistica – da rendere l’investimento capace di assorbire gli extra costi.
Il tema è stato al centro del convegno “Rigenerare per costruire: il futuro dell’edilizia parte dal Brownfield”, organizzato mercoledì a Milano da Gse Italia, filiale italiana di uno dei gruppi leader dell’edilizia industriale. Un incontro per sensibilizzare le istituzioni sulla validità del brownfield come soluzione multilivello, capace di rispondere sia al consumo di suolo sia alla domanda abitativa e di sviluppo economico– che comporta la realizzazione di circa un milione e mezzo di metri quadrati all’anno in Italia – rilevando le difficoltà e le possibili soluzioni.
Il nodo delle bonifiche
L’elemento chiave che emerge dal confronto è che serve una corsia preferenziale per gli sviluppi in brownfield e l’armonizzazione delle normative nazionali, regionali e comunali attorno all’ottenimento dei permessi e alla gestione dei cantieri con passività ambientali. Ulteriori criticità sono legate ai costi di bonifica dei suoli. Se ci fosse una deduzione automatica dei costi della bonifica dagli oneri di urbanizzazione, sarebbe un bel segnale», sottolinea Antonio Guarascio, managing director Confluence Europe di Gse. «Oltre ai costi della bonifica in sé, c’è anche un tema di costo finanziario legato all’allungamento dei tempi – aggiunge Cristiano Brambilla, senior vice president project & construction management di Hines –La legge regionale della Lombardia prevede delle agevolazioni, ma spesso sono disapplicate dai Comuni. E l’operatore stesso alla fine preferisce rinunciare per evitare di allungare ulteriormente i tempi. A meno che la zona non sia di altissimo valore. Alcune aree poi potrebbero anche essere interessanti dal punto di vista immobiliare per la logistica, ma mancano di infrastrutture».
Le criticità per la logistica
Per quanto riguarda la logistica, la nuova legge regionale 15/2024 della Lombardia, «va nella direzione giusta – spiega Valentino Chiarparin, country manager di Gse Italia – ma permangono alcune criticità: va definito in modo più chiaro a chi spetta il compito di fare la cabina di regia fra le varie parti interessate dal progetto – Comune, Provincia, Arpa, Anas, operatore – e l’integrazione più fluida del percorso di gestione di passività ambientali. Accorciare i tempi è fondamentale, ma ciò che più spaventa è l’incertezza della procedura. Servono meccanismi più celeri per l’approvazione dei piani di bonifica e di collaudo, nonché favorire la realizzazione di aree di messe in sicurezza permanente all’interno delle aree di cantiere per i rifiuti meno dannosi, data la scarsità dei centri di conferimento e l’alto impatto ambientale connesso ai relativi trasporti».
La tutela del suolo
Rendere più conveniente operare su brownfield è tanto più urgente se si considera che l’Italia si è proposta di raggiungere il consumo zero di suolo entro il 2030. Dall’Emilia Romagna – che con l’entrata in vigore della legge 24/2017, lo scorso gennaio, ha tagliato del 70% l’espansione urbanistica programmata, passando da 266 a 81 km quadrati –alla Lombardia – che nel database Invest in Lombardy ha mappato circa 150 aree brownfield della regione disponibili per investitori che intendono insediarsi o potenziare la propria attività – si contano varie iniziative virtuose. Ma pesano la mancanza di una definizione univoca di consumo di suolo e una normativa chiara che si sostituisca alla stratificazione delle leggi.
«L’obiettivo è superare le criticità con il nuovo Testo unico delle costruzioni: presenterò entro un mese la mia proposta di legge parlamentare – spiega Erica Mazzetti, deputata di Forza Italia e Responsabile Dipartimento Lavori Pubblici – Il testo sarà auto-applicabile, sull’esempio del Codice degli Appalti, basato sulla centralità della progettazione, su incentivi premianti per chi opera in aree dismesse e sulla centralità del partenariato pubblico-privato. Uno strumento fondamentale per il Paese che il correttivo al Codice degli Appalti è andato a complicare».