Nelle operazioni oggettivamente inesistenti il vantaggio fiscale si presume suddiviso in pari misura tra chi emette e chi riceve le fatture false, fino a prova contraria del contribuente. La ripartizione fifty-fifty, infatti, trova fondamento nel diritto positivo: dalla comunione alla responsabilità solidale ex articolo 2055 Cc fino alla presunzione di eguaglianza nelle quote in caso di responsabilità dei soci di una società di persone. Così la Corte di cassazione, sez. tributaria, nell’ordinanza n. 29299 del 05/11/2025. Diventa definitiva sul punto la decisione del giudice che ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate. Il cedente che ha emesso la fattura per un’operazione inesistente ha diritto al rimborso dell’imposta versata solo se risulta eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale. E dunque se l’amministrazione finanziaria ha disconosciuto con un provvedimento divenuto definitivo il diritto alla detrazione del destinatario e quest’ultimo ha corrisposto all’erario l’intero importo indebitamente detratto più le sanzioni.
Nel caso specifico, invece, il fisco chiede legittimamente al cedente il pagamento dell’Iva indicata in fattura: manca la prova che il cessionario abbia versato l’imposta, mentre non basta che sia stato notificato l’accertamento anche all’utilizzatore. Inutile poi richiamare il divieto di doppia imposizione che vale per un solo contribuente e non per soggetti differenti: i presupposti impositivi, peraltro, risultano differenti laddove il recupero per il cessionario scatta per i costi dedotti in modo indebito e per il cedente per gli indebiti profitti conseguiti. Né giova dedurre che la ripartizione “fifty-fifty” sul vantaggio fiscale sarebbe inutilizzabile senza riscontri esterni o fatti notori e quindi mancherebbero gli indizi chiari, precisi e concordanti per applicarlo: il criterio è ragionevole in quanto fondato non soltanto sulla normalità statistica dei fatti ma pure sul diritto positivo, laddove anche in sede di comunione legale tra i coniugi, ad esempio, si presume l’uguaglianza delle quote. La parola passa al giudice del rinvio solo sull’impossibilità di raddoppiare i termini di accertamento per l’Irap, imposta non presidiata da sanzioni penali.