Il nuovo orientamento giurisprudenziale sul concorso di terzi e, in particolare di professionisti, per violazioni fiscali commesse dai clienti è in linea con la normativa e quindi non sussistono ambiguità che richiedano interventi legislativi. Sono queste, in sintesi, le conclusioni del ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) in risposta a una specifica interrogazione parlamentare.
Gli interroganti chiedevano di conoscere eventuali iniziative governative a seguito del mutato e contrastante orientamento giurisprudenziale sulla responsabilità in concorso del professionista negli illeciti fiscali del cliente.
Si ricorda che la Corte di cassazione per anni e fino al 2024 (tra le tante: sentenze 13232/2022, 5924/2017, 25284/2017, 5924/2017, 10975/2019, 9448/2020, 24805/2021) aveva escluso il concorso del professionista per le violazioni tributarie commesse dalla società (di capitali) sua cliente.
Ciò perché l’articolo 7 del Dl 269/2003 disponeva che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. Per inciso, con il Dlgs 87/2024 tale principio è stato esteso anche alle società semplici, di persona eccetera (ex articolo 5 del Tuir).
Successivamente, a legislazione immutata, i giudici di legittimità nel 2024 hanno ribaltato il principio ritenendo che:
lo “scudo” fornito dall’articolo 7 si applica solo ai soggetti interni (e non ai terzi estranei) alla società,
il professionista può, quindi, essere sanzionato, in concorso, per le violazioni tributarie commesse dall’ente.
Sarebbe quindi sufficiente, ai fini del concorso, la coscienza e volontà di apportare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito tributario (per tutte: sentenze 20823/2024, 21092/2024, 21222/2024, 7948/2025).
Nelle more, sempre la Cassazione (per tutte: sentenza 23229/2024) ha parzialmente ridimensionato tale severo orientamento evidenziando la necessità, per la configurazione del concorso, che il professionista persegua suoi «specifici» vantaggi, distinti da quelli della società cliente.
In altre parole il beneficio, nel caso del consulente, non può identificarsi nel compenso professionale percepito, ma deve trattarsi di un “quid pluris”, cioè di benefici che vadano oltre il corrispettivo della propria prestazione. Di conseguenza, il consulente deve aver condiviso, o coinvolto, la società nel compimento di condotte illecite, tese a ottenere vantaggi non spettanti.
In tale delicato contesto di particolare rischio per i professionisti nell’ordinaria attività di consulenza l’interrogazione parlamentare chiedeva di conoscere eventuali iniziative del Mef rispetto a tale severa interpretazione.
In risposta, il ministero precisa, invece, di condividere l’interpretazione della Cassazione che ha escluso dalla tutela dell’articolo 7 tutti i soggetti esterni alla società (tra cui i professionisti). Non viene tuttavia considerato il differente orientamento della Corte di legittimità favorevole ai professionisti espresso fino al 2024.
Il Mef, poi, non prende posizioni esplicite in merito all’attuale differente interpretazione della Cassazione sulla necessità, o meno, ai fini del concorso, della sussistenza di un interesse specifico conseguito dal professionista. Sembra tuttavia trasparire che aderisca all’interpretazione più rigorosa secondo cui è sufficiente il mero apporto psicologico.
Alla fine l’unica certezza è che, almeno da parte del Mef, non verranno assunte iniziative volte a mitigare questa rigorosa interpretazione che, anzi, pare pienamente condivisa. Il che per tutti i professionisti che, a vario titolo, operano nel settore fiscale non è una buona notizia.