L’atteggiamento del nostro governo poteva, e doveva, essere diverso rispetto a dei fermi che
non sono giustificabili, in acque internazionali. Questo espone l’Italia anche ad eventuali
contestazioni per la mancata tutela del diritto umanitario». Pasquale De Sena, già ordinario
alla Cattolica e fino al 2024 presidente della Società italiana di diritto internazionale e
dell’Unione europea, ora insegna all’Università di Palermo.
Professore, perchè non c’è stata violazione da parte di Flotilla?
«Perché in acque internazionali a qualunque imbarcazione, privata o pubblica, è consentito di
andare liberamente, in omaggio a un antico principio consuetudinario
che vincola anche Israele».
Anche se Israele non ha ratificato la Convenzione di Montego Bay?
«Certo, perché non ha comunque mai contestato quel pincipio. Quindi, nessun dubbio che
quei battelli potessero navigare: erano a più di 50 miglia dalla costa, come risulta dalle
comunicazioni dei vari attivisti, non smentite da Israele».
E il fatto che Tel Aviv ritenesse “critica” quella zona di mare?
«Non ha rilievo alcuno. Perché l’estensione della zona di “controllo” da parte israeliana fino a
quel punto è un atto unilaterale, privo di effetti: per altri Stati e per le barche battenti la loro
bandiera».
Ma se questo assicura il diritto, perché, come pure è avvenuto, ad alcuni attivisti in
passato sarebbe stato sottoposto, un verbale di avvenuta violazione di limiti?
«Se così fosse, si tratterebbe di una sorta di contropartita, in cambio di un pronto rientro. In
altri termini, si richiederebbe loro – in una sorta di diritto estorsivo? spero proprio di no – la
confessione di un fatto mai commesso per farli rientrare rapidamente. E, forse, per
precostituirsi un motivo utile, per non far mettere più piede a quegli attivisti, in Israele, in
futuro».
Ma il governo cosa poteva fare, in concreto, per sostenere la correttezza di quelle
condotte?
«Dinanzi al fermo di quelle persone, in acque internazionali, si poteva contestare il sequestro,
visto che l’articolo 4 del codice penale equipara tali imbarcazioni al territorio italiano. Se non
lo si è fatto, e non lo si farà, ciò dipende, presumibilmente, da un tacito accordo».
Un patto tra Roma e Israele: noi non apriamo controversie, voi non usate nessuna
violenza?
«In estrema sintesi, sì. Ma ciò, si badi, presuppone l’accettazione dello”status quo” da parte
italiana Uno “status quo” in cui è compreso il blocco degli aiuti umanitari, che costituisce
certamente un crimine di guerra. Una linea, quella di Roma coerente con l’atteggiamento più
che morbido tenuto finora con Israele. Ma ci espone come Paese».
A cosa, concretamente?
«Espone l’Italia al rischio di essere considerata inadempiente rispetto agli obblighi di
prevenzione derivanti dalla Convenzione sul genocidio; a quelli che riguardano il
disconoscimento di situazioni illecite provocate da violazioni di norme fondamentali. E
soprattutto, all’obbligo di “rispettare e far rispettare” il diritto umanitario, che è stabilito
dall’articolo 1, ed è il pilastro, delle quattro convenzioni di Ginevra».
03.10.2025
In acque internazionali fermi ingiustificabili e fuorilegge
- La Repubblica