Sarà una Legge di Bilancio «di ferma e prudente responsabilità, che terrà conto della tenuta della finanza pubblica nel rispetto delle regole Ue e delle imprenscindibili tutele a favore dela crescita economica e sociale dei lavoratori e delle famiglie», ma anche delle nuove esigenze della difesa. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, al termine del Consiglio dei ministri che ha approvato ieri sera il Documento programmatico di finanza pubblica, propedeutico alla manovra, insieme al ddl sull’energia nucleare.
Il deficit scenderà dal 3% del 2025 al 2,8% nel ‘26, poi al 2,6 e al 2,3%, mentre il debito, che cresce anch’esso meno del previsto, chiuderà al 134,8% nel ‘28. La manovra che vedrà la luce il 20 ottobre, spiega una nota del Mef, comporterà «una ricomposizione del prelievo fiscale riducendo il carico sul lavoro», «garantirà un ulteriore rifinanziamento del fondo sanitario», e prevede «misure volte a stimolare gli investimenti delle imprese, a garantirne la competitività, e a sostegno della natalità e della conciliazione vita-lavoro».
I conti vanno bene, ma serviranno comunque, per la quadratura del cerchio anche nuove entrate ed una revisione della spesa, anche in base al tiraggio dei fondi già stanziati. La vera novità è che ancora prima dell’uscita dalla procedura di infrazione per il deficit eccessivo, data ormai per scontata con il deficit sotto al 3%, il governo ha già programmato un incremento della spesa per la difesa, ricorrendo alla clausola di salvaguardia Ue. I maggiori stanziamenti saranno pari alo 0,15% del pil nel 2026, allo 0,3% nel ‘27 e allo 0,5% nel ‘28 per un impegno a regime di 12 miliardi, da spendere anche grazie al programma europeo Safe. Il tutto, naturalmente, una volta usciti formalmente dalla procedura, nella prossima primavera.
Il deficit
Nel 2026 crescita dello 0,7 per cento e disavanzo sotto la soglia del 3 per cento
Benché le risorse siano limitate la manovra avrà comunque, secondo il governo, un effetto espansivo sull’economia. La crescita del pil dovrebbe accelerare dallo 0,5% di quest’anno allo 0,7% nel ‘26, poi allo 0,8 e allo 0,9%. Lo stimolo maggiore dovrebbe venire dalla riduzione dell’aliquota Irpef sui redditi tra 28 e 50 mila euro dal 35% attuale al 33%, che è per giunta l’unica misura su cui i partiti di maggioranza sono tutti concordi. Il beneficio fiscale, un massimo di 440 euro l’anno, potrebbe essere appannaggio anche dei redditi superiori, perché il governo sembra orientato a porre la soglia di esclusione solo per i redditi molto elevati. «Nel ‘24 e ‘25 abbiamo aiutato i redditi più bassi, ora aiutiamo il ceto medio» ha detto il vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo, secondo il quale gli sgravi Irpef possono alleggerire il peso del drenaggio fiscale, che secondo la Cgil ha mangiato ai contribuenti 24 miliardi negli ultimi tre anni.
Nel menù fiscale rientrerebbe anche una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali, sostenuta dalla Lega, che per compensarne il costo punta ad un nuovo contributo dalle banche, ma anche la conferma e la semplificazione dell’Ires premiale per le imprese, con l’aliquota ridotta dal 24 al 20% per chi reinveste gli utili, l’assoggettamento dei redditi diversi di natura finanziaria (ad esempio i fondi comuni) al regime dei redditi da capitale, tassati al 26%. Altro capitolo impegnativo sarà quello degli incentivi alle imprese in scadenza. Confindustria ne chiede la conferma per un importo di 8 miliardi nel prossimo triennio.