C’è quinto posto e quinto posto. Se quello ottenuto dall’Italia alla fine dello scorso ciclo di programmazione dei finanziamenti Ue per la ricerca (Horizon 2020) poteva essere considerato soddisfacente, poiché seguiva ad anni di sottofinanziamento dell’innovazione nel nostro Paese e alla storica difficoltà di sfruttare al meglio l’occasione offerta dai fondi europei in generale, lo stesso non può dirsi per la quinta piazza che attualmente deteniamo per l’accesso a Horizon Europe. Sia perché – causa Brexit – è uscito di scena il Regno Unito, che la volta scorsa occupava la seconda piazza per contributo netto incassato (e che tra l’altro sta tornando come associated country, ndr), sia perché nel frattempo siamo stati scavalcati dall’Olanda. E cominciamo a sentire il fiato sul collo anche del Belgio.
Il tema, mentre ci apprestiamo a entrare negli ultimi due anni di applicazione del Pnrr, dovrebbe spingere le università e gli enti di ricerca a interrogarsi su come poter migliorare la loro capacità di aggiudicarsi le risorse dei bandi continentali. Visto che saranno proprio queste ultime, una volta chiusa la parentesi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, a «dare valore al know how, alle infrastrutture di ricerca e agli ecosistemi dell’innovazione creati attraverso il Pnrr», come sottolinea al Sole 24 Ore del Lunedì la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini. «Realtà miste pubblico-privato, avamposti della ricerca – spiega – che vanno consolidati e messi in sicurezza anche dopo il 2026, quando i finanziamenti di Next Generation Eu saranno terminati».
Nel ricordare che tutto sommato «l’Italia partecipa con successo alle opportunità offerte da Horizon Europe», Bernini chiede a tutti i soggetti coinvolti di «fare un passo avanti». E aggiunge: «Il nostro ecosistema, pubblico e privato, dell’innovazione deve allargare e ulteriormente qualificare la partecipazione ai bandi europei. Sono in arrivo quelli del 2025 e i bandi annessi ai due ultimi anni di Horizon Ue». Tant’è vero che il suo dicastero «sta già intensificando il suo impegno perché l’Italia possa trarre maggiore vantaggio dalle tre ultime annualità di finanziamento del più grande programma di ricerca ed innovazione mai messo in campo dalla Commissione europea».
La posta in gioco
Nel passaggio da Horizon 2020 a Horizon Europe (che ci coprirà fino al 2027) la dote per la ricerca Ue è cresciuta da circa 74 a 95 miliardi di euro. Fatta la premessa che fino al 2020, in base alla popolazione, l’Italia era quarta come concorso al budget messo dei programmi quadro dell’Unione europea mentre dal 2021 a oggi è diventata terza, in questa sede ci soffermiamo sul fatto che il nostro Paese rimane quinto per i fondi di R&I vinti dal 2014 ad oggi. Come riassume il grafico in alto, con Horizon 2020 ci siamo aggiudicati 5,7 miliardi sui 74 totali, e cioè il 9,3 per cento. Così facendo, ci siamo posizionati dietro Germania, Uk, Francia e Spagna. Nei primi tre anni e mezzo o poco più di operatività abbiamo portato a casa invece 3,1 miliardi (il 9,6% dei 33 miliardi finora assegnati). Se in termini percentuali il quadro è leggermente migliorato la graduatoria complessiva dice che siamo sempre quinti perché oltre a Germania, Francia e Spagna ci ha superato anche l’Olanda, che ha però un terzo dei nostri abitanti.
Evidentemente siamo stati meno bravi del previsto ad accaparrarci le risorse liberatesi con l’uscita di scena almeno iniziale del Regno Unito. Del resto il nostro tasso di aggiudicazione dei progetti Ue, da un programma all’altro, è cresciuto molto meno degli altri (+0,3%); basti pensare che i tedeschi, gli spagnoli e gli olandesi hanno portato a casa, rispettivamente l’1,2, l’1,4 e l’1,1% in più rispetto a H2020. E anche il Belgio si avvicina rapidamente, visto che ha ottenuto finora 2,4 miliardi e cresce dell’1,1% in più sul precedente ciclo.
La partecipazione per settore
C’è un altro aspetto di cui tenere conto. Spulciando tra i finanziamenti intercettati per settore, balza agli occhi una diminuzione delle nostre performance negli ambiti in cui investe copiosamente anche il Pnrr. Pensiamo al cluster “clima, energia e mobilità”, dove nel 2021 eravamo terzi per fondi intercettati salvo poi diventare quarti nel 2022 e nel 2023. E un analogo calo ha interessato il posizionamento per “digitale, industria e spazio”. A differenza di quanto avviene per “cibo, bioeconomia, risorse naturali, agricoltura e ambiente”: qui da una debole posizione iniziale abbiamo leggermente migliorato nel corso dell’ultimo triennio. Altalenanti poi le performance nel campo della salute, dove eravamo quinti nel 2021, quarti nel 2022 e di nuovo quinti nel 2023. Situazione simile per l’ambito sicurezza per la società mentre in leggero miglioramento si dimostrano cultura e creatività. Uno scenario che merita di essere attenzionato se guardiamo al 2027, cioè al post-Piano di ripresa e resilienza, e che rende l’appello della ministra Bernini ancora più attuale. Una volta persa l’abitudine a partecipare ai bandi Ue e (se possibile) a vincerli, per università e centri di ricerca riacquistarla non è così facile.