«Don’t blame Regulators, but learn the lesson… ». Si perdonerà se iniziamo con un po’ d’inglese, ma a volte è necessario esprimersi nella lingua dei potenziali interlocutori (a volte è un atto di cortesia). Maggio è iniziato con un nuovo fallimento di una banca, la terza, negli Stati Uniti (dopo Silicon Valley e Signature Bank). A inizio mese le autorità americane hanno dovuto d orchestrare la vendita in emergenza delle First Republic Bank a JP Morgan.
Dopo la crisi del 2008, con una tipica dinamica «reattiva» promossa da politici e opinione pubblica, sono seguite migliaia di pagine di regolamenti, tra cui l’obbligo per gli istituti finanziari di eseguire copiosi e costosi test sulla propria solvibilità finanziaria di fronte a vari scenari di stress del mercato, volti appunto a prevenire il ripetersi di una crisi simile. La domanda è dunque come tutto ciò sia potuto succedere.
Ciò che colpisce dei recenti fallimenti è che si sono verificati nonostante le banche fossero molto più capitalizzate e più liquide di qualsiasi altra istituzione prima del 2008. Le autorità di regolamentazione e di vigilanza insistono sul fatto che ciascuno dei fallimenti bancari di quest’anno è stato idiosincratico.Il filo conduttore
Federal Reserve e la Federal Deposit Insurance Corporation hanno prodotto diversi report individuando come cause del fallimento della Silicon Valley Bank una cattiva gestione del rischio e l’eccessiva dipendenza dai depositi non assicurati. Ma il filo conduttore di tutti i fallimenti di quest’anno è che gli alti livelli iniziali di liquidità non potevano prevenire una crisi di solvibilità legata ad una rapida riduzione dei depositi a seguito dei timori che le banche potessero dover vendere in perdita attività il cui valore di mercato era diminuito a causa dell’aumento dei tassi di interesse. Nel caso della Silicon Valley Bank e della First Republic, nemmeno gli asset di alta qualità come i titoli di Stato statunitensi e i mutui ipotecari offrivano alcuna protezione.
Solo alla fine del 2022, quando i tassi erano già aumentati notevolmente, le autorità di vigilanza americane hanno avvertito la Silicon Valley Bank che la sua modellizzazione del rischio di tasso di interesse era inadeguata.
I depositi sono fuggiti molto più velocemente di quanto fosse mai accaduto prima, aiutati sia dalla paura alimentata dai social media sia dalla tecnologia che ha permesso a persone e soprattutto soggetti istituzionali di spostare ingenti somme con pochi tocchi su uno smartphone. Ciò che nessuno delle autorità di regolamentazione, vigilanza o board di banche aveva considerato è la velocità con cui i depositanti potevano «fuggire», il che sembra essere una nuova realtà nell’era delle app per smartphone e dei social media.
Dunque, sembra che, in uno scenario in cui il settore finanziario continua ad innovare, creare e muoversi velocemente in scenari molto complessi, i regolatori, in particolare americani, si sono adattati solo in parte. Dopo il 2008 la vigilanza bancaria è cambiata, e è diventata più burocratica e orientata ai processi a discapito di un rapido processo decisionale. Ci vogliono anni per redigere regolamenti, a volte anche sovrapposti, modelli statistici articolati per coprire ogni evenienza del panorama attuale, con anni di riunioni del Comitato. Anche quando i supervisori hanno individuato problemi, non si sono mossi in modo rapido o sufficientemente deciso per impedire agli operatori di precipitare in una crisi.Qui Europa
Mentre gli Usa concludono il loro terzo grande salvataggio bancario (asset per oltre 230 miliardi di dollari) in sette settimane, l’Unione europea e il Regno Unito sembra siano rimasti relativamente indisturbati. La Bce, pur non potendosi per definizione sedere sugli allori deve analizzare con attenzione la situazione Usa e promuovere un coordinamento. L’unica implosione finanziaria del continente, la banca svizzera Credit Suisse, era in «costruzione» da anni e potrebbe essere definita idiosincratica. Le autorità di regolamentazione europee e britanniche richiedono inoltre a tutte le banche di effettuare il mark to market dei propri investimenti in titoli. Questo aspetto è diventato critico, poiché nel 2019 gli Stati Uniti hanno esentato le banche con meno di 250 miliardi di dollari di attività dal requisito.
Il tema del mark to market è cruciale. Ai fini della vigilanza andrebbe effettuato l’esercizio sempre (così è in molti casi) anche se possono esserci diversi trattamenti a livello di contabile.
Tuttavia, occorre trarre una lezione importante dalla crisi del settore bancario statunitense. I rischi che contano sono quelli che non vediamo arrivare, che emergono dalla natura in continua evoluzione dei mercati e ci colgono alla sprovvista. Ovviamente non possiamo pensare a ogni evenienza, perché non abbiamo una sfera di cristallo per i mercati del futuro. Abbiamo bisogno di un approccio flessibile e robusto che rispetti la natura del rischio.
Occorre spostarsi verso un nuovo regime regolamentare. Un regime che vede le autorità di regolamentazione e gli operatori dell’industria come partner per identificare i rischi materiali e giungere a soluzioni condivise tempestive. Occorre rafforzare la governance globale delle autorità di Vigilanza, senza eccezioni.