Sono già più di novantamila i contribuenti italiani che hanno presentato l’istanza di voluntary disclosure. E questo nonostante la regolarizzazione dei capitali all’estero sia sembrata, in molti casi, più simile a una corsa a ostacoli, dove il maggior beneficiario, il fisco italiano, sembrava impegnato a creare problemi, o almeno non faceva alcuno sforzo per spianare la strada, a coloro che potevano avere interesse alla riemersione.
Novantamila adesioni, che diventeranno più di centomila di qui alla fine di novembre, sono un bel risultato, considerando che la stessa amministrazione finanziaria, durante la fase di avvio, stimava di poter raccogliere al massimo poche decine di migliaia di voluntary. Il motivo del successo è evidente: nonostante i dubbi interpretativi, i rischi anche penali, i costi elevati, e la mancanza di certezze su come l’amministrazione finanziaria tratterà tutti gli elementi di quella che è una vera e propria confessione del contribuente, la voluntary non ha alternative.
ItaliaOggi lo ha scritto tante volte: il venir meno del segreto bancario nelle tradizionali piazzeforti finanziarie, l’implementazione in tempi rapidissimi dello scambio di informazioni finanziarie, il ribaltamento dell’approccio delle banche svizzere che temono adesso di essere toccate da accuse di riciclaggio, ha messo i contribuenti con le spalle al muro.
Impressionante notare che una valanga di proporzioni mondiale, della quale la voluntary italiana è solo un dettaglio, ma che comporta un mutamento di approccio alla fiscalità internazionale che sta interessando tutte le società di maggiori dimensioni, è stata innescata dalla volontà statunitense di mettere un freno alle pratiche elusive (tax planning) di imprese e persone fisiche, che costavano all’erario decine di miliardi di dollari.
Evidentemente il problema non era solo degli Usa, tanto che nel giro di cinque o sei anni (in questo campo l’attuazione di riforme di questo tipo richiede normalmente decenni) si è riusciti a ribaltare l’approccio praticato dalle amministrazioni fiscali e dai governi di tutti i paesi più avanzati. La globalizzazione dei mercati e delle informazioni è già arrivata a toccare il nervo scoperto del rapporto tra i cittadini e lo stato. Il fisco, appunto.