In ogni caso è evidente che il Governo non vuole correre alcun rischio sul definitivo approdo della legge di conversione anche perché – si veda il Sole 24 Ore di ieri – sul piatto della bilancia restano comunque i 2,5 miliardi di gettito maturato dopo l’entrata in vigore del decreto legge del 29 settembre scorso, che tra le altre cose aveva allungato la finestra per l’adesione al rientro “agevolato” fino al prossimo 30 novembre.
Il tormentato iter della legge sulla voluntary disclosure – iniziato, ricordiamolo, nel gennaio del 2014 con il Dl Letta che non venne convertito al cambio di premier – può dirsi quindi quasi concluso, a meno di una riapertura generale dei termini a tutto il 2016 che il presidente del consiglio, Matteo Renzi, aveva preannunciato alcune settimane fa in un’intervista televisiva. La “cucitura” al 1° gennaio 2017, tra l’altro, andrebbe a incastrarsi con l’avvio dello scambio automatico di informazioni fiscali con i primi Paesi – cosiddetti early adopters – termine davvero ultimo per i capitali ancora in fuga.
Il testo della legge di conversione, quindi, resterà del tutto identico a quello approvato dal Senato a fine ottobre. In sostanza si tratta del testo originario del decreto con la sola eccezione dell’apertura ai frontalieri (che si troveranno a pagare solo il 5% sulle prestazioni previdenziali di secondo livello percepite in Italia, e inoltre con i loro coniugi non più tenuti alla disclosure dei conti cointestati) e con il “foro” unico di Pescara per tutte le istanze di emersione inviate dopo il 10 novembre scorso, come già recepito dall’Agenzia con il provvedimento del 6 novembre.
Proprio la deroga alla competenza territoriale per le nuove domande è in queste ore al centro del dibattito parlamentare (con esponenti del M5S che hanno ipotizzato oscuri maneggi per nascondere casi delicati – mentre invece lo scopo dell’emendamento sarebbe tutelare le dichiarazioni originariamente radicate in territori ad alta infiltrazione mafiosa ) e anche all’origine di proteste di molti professionisti.
La questione “pratica” è emersa tra il fine settimana scorso e lunedì, quando l’elevatissimo afflusso di nuove istanze ha di fatto bloccato a più riprese l’infrastruttura informatica delle Entrate. L’ingorgo è stato determinato dal fatto che, soprattutto dal Nord, moltissimi studi professionali hanno accelerato l’invio per evitare la delocalizzazione forzata in Abruzzo (nonostante il provvedimento dell’Agenzia consenta, per le fasi ulteriori, di mantenere il contraddittorio presso la propria Dpe). I problemi dell’infrastruttura informatica dell’Agenzia, tra l’altro, sono stati una costante del programma di voluntary: nei mesi scorsi molti professionisti si erano visti richiedere copie delle relazioni già inviate ma “disperse” dal sistema a causa del “peso” dei file di accompagnamento. Tale circostanza va compresa alla luce della procedura che sta portando un numero elevato di domande sovraccaricando il sistema; se si considera che per ogni domanda sono necessari minimo 5 accertamenti (che salgono a 10 per i Paesi black list) queste domande, che al 5 novembre erano circa 80mila, richiederanno minimo 400mila controlli destinati certamente a salire. Accertamenti che si andranno a sommare all’attività ordinaria.