Continua pagina 31 Antonella Olivieri
Continua da pagina 29 La Cndc ha concesso dunque l’autorizzazione allo scioglimento di Telco, mantenendo però in capo a Telefonica tutti gli obblighi di separatezza delle attività argentine rispetto a quelle in loco di Telecom Italia, che ha ancora la maggioranza di Telecom Argentina in attesa che arrivi l’ok a cedere il controllo al fondo Fintech di David Martinez. Questo perchè, come si legge nella parte finale del dispositivo di 34 cartelle, l’Antitrust argentino non ha tenuto conto nè della cessione a Vivendi dell’8,3% di Telecom da parte di Telefonica, nè del convertendo che ha come sottostante la restante quota, ritenendoli entrambi eventi non certi in quanto soggetti a «condizioni». Di qui la cautela di mantenere in capo a Telefonica – diretto concorrente di Telecom Argentina nel Paese sudamericano – tutti gli obblighi precedenti, così come il divieto a intrattenere relazioni con il competitor di Buenos Aires, con l’aggiunta, una volta sciolta Telco, del «divieto a esercitare il controllo, diretto o indiretto su qualsiasi compagnia controllata da Telecom Italia che svolga attività nel mercato argentino».
L’evento Gvt dovrebbe però diventare certo oggi, anche se occorreranno 10-15 giorni per gli adempimenti tecnici relativi alla scissione di Telco. Chi ha parlato con Bolloré ieri ha avuto conferma che il finanziere-imprenditore bretone ha intenzione di fare di Vivendi un «socio stabile e di lungo periodo» in Telecom, industrialmente non conflittuale visto che i due gruppi operano in settori attigui alla ricerca di un futuro di convergenza. Chiaro che, come aveva anticipato il ceo Arnaud de Puyfontaine all’assemblea parigina di metà aprile, una volta diventata azionista di Telecom, Vivendi prenderà contatto con la società e con tutte le controparti italiane, compreso il Governo che pure non è presente nel capitale.
Dopo il premier Matteo Renzi, anche il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli – dai microfoni di Radio 24 – ha ripetuto che la privatizzazione di Telecom, così come è stata fatta, è stata un errore, perchè «mettere lo sviluppo di un’infrastruttura strategica (la rete di tlc, ndr) in relazione al possibile investimento di un privato è concettualmente un errore». Tant’è – ha osservato Giacomelli – che Francia e Germania, dove l’azionista di riferimento dell’incumbent è lo Stato, sono più avanti. Secondo il vice-ministro «il pubblico ha più libertà del privato. Il pubblico deve considerare l’interesse per il complesso del Paese».
Fatto sta che è andata così. I tentativi di “rimediare” in parte a una privatizzazione radicale, a differenza di quella di Eni ed Enel, non sono mai approdati a nulla. Un paio d’anni fa, quando si ragionava di scorporo “volontario” della rete, l’allora presidente Franco Bernabè aveva provato a proporre alla controparte pubblica – la Cdp – di considerare la possibilità di sottoscrivere un convertendo o un convertibile in azioni Telecom. Anche l’attuale presidente Giuseppe Recchi, nelle prime ricognizioni dopo la nomina al vertice, aveva cercato di capire se ci fosse qualche interesse di Cdp a rilevare una quota. Ma la risposta era sempre stata negativa. Posizione che non è mai cambiata tant’è che anche pochi giorni fa il vertice della Cassa ha ribadito che sarebbe un errore il rientro dello Stato nell’incumbent, dal momento che l’Europa chiede invece di accelerare sulle privatizzazioni.
Problemi che non riguardano i francesi, visto che la Caisse de depôt ed Consignation, la Cdp transalpina, ha investito in Telecom Italia, presentandosi all’ultima assemblea con lo 0,6%. Non un azionista qualunque perché la Cdc è anche socio stabile di Vivendi col 3,45%. Nell’azionariato di Telecom, Bolloré, che avrebbe già preparato l’ascesa verso il 15% del capitale con strumenti derivati, troverà anche un altro dei suoi alleati internazionali, il colosso Usa dell’asset management BlackRock che ha all’incirca il 5% in entrambi i gruppi.
Quanto alla compagine tricolore, Mediobanca, che dalla scissione Telco otterrà l’1,64%, conferma l’intenzione di cedere la quota sul mercato entro il 30 giugno, quando chiude il suo esercizio. Intesa ha inserito l’analoga partecipazione nella lista delle dismissioni da realizzare nell’arco del proprio piano industriale. Generali, che avrà il 4,32%, invece non ha ancora preso decisioni a riguardo, salvo riaffermare che il suo core business è assicurativo e che nessuna partecipazione diversificata è strategica.