Il piano di investimenti della Commissione al momento appare un atto sostanzialmente politico e senza finanziamenti certi. L’elaborazione doveva essere completata in dicembre. È stata accelerata per convincere gli eurosocialisti a restare nella maggioranza con gli europopolari di Juncker nel respingere domani la mozione di censura del M5s e dei partiti euroscettici, che altrimenti imporrebbe le dimissioni dell’ex premier lussemburghese per il suo coinvolgimento nello scandalo Luxleaks sui favoritismi fiscali nel suo Granducato a multinazionali, banche e società straniere. Nell’Europarlamento molti già dubitano se 300 miliardi in tre anni, divisi tra 28 Paesi, riescano a stimolare efficacemente la crescita e l’occupazione. In più Juncker oggi intende spiegare che pensa di «stimolare gli investimenti senza produrre nuovo debito» varando un «Fondo europeo per gli investimenti strategici» insieme alla banca comunitaria Bei. In pratica, non avendo trovato capitali pubblici, vorrebbe generare 315 miliardi di investimenti con un meccanismo di finanza creativa. Partirebbe dalla ricerca di 16 miliardi in garanzie, attingendo solo per due miliardi dal budget Ue. Per sei miliardi recupererebbe da due progetti Ue in corso (Connecting Europe e Horizon 2000). Per gli altri otto miliardi si vedrà. Cinque miliardi dovrebbe metterli la Bei. Ma come si trasformano questi 21 in 315 miliardi? La Commissione sostiene che il nuovo Fondo, per ogni miliardo, attirerà tre miliardi di prestiti e 11 miliardi di investimenti privati. Il vicepresidente della Commissione europea, il finlandese Jyrki Katainen, è convinto che «ogni euro di denaro pubblico trasferito nel Fondo genererà circa 15 euro di investimenti» in aree come «energia, ambiente, trasporti, banda larga, istruzione, ricerca e innovazione». La Commissione ammette il fallimento dell’analogo piano (con project bond) varato dalla precedente presidenza del portoghese Josè Manuel Barroso. Sostiene però che il nuovo Fondo non farà la stessa fine perché più «flessibile» e in grado di usare «un ampio numero di strumenti finanziari».
26.11.2014
Via a «finanziarie» e piano Juncker Bruxelles: più investimenti tedeschi
- Il Corriere della Sera
Il piano di investimenti della Commissione al momento appare un atto sostanzialmente politico e senza finanziamenti certi. L’elaborazione doveva essere completata in dicembre. È stata accelerata per convincere gli eurosocialisti a restare nella maggioranza con gli europopolari di Juncker nel respingere domani la mozione di censura del M5s e dei partiti euroscettici, che altrimenti imporrebbe le dimissioni dell’ex premier lussemburghese per il suo coinvolgimento nello scandalo Luxleaks sui favoritismi fiscali nel suo Granducato a multinazionali, banche e società straniere. Nell’Europarlamento molti già dubitano se 300 miliardi in tre anni, divisi tra 28 Paesi, riescano a stimolare efficacemente la crescita e l’occupazione. In più Juncker oggi intende spiegare che pensa di «stimolare gli investimenti senza produrre nuovo debito» varando un «Fondo europeo per gli investimenti strategici» insieme alla banca comunitaria Bei. In pratica, non avendo trovato capitali pubblici, vorrebbe generare 315 miliardi di investimenti con un meccanismo di finanza creativa. Partirebbe dalla ricerca di 16 miliardi in garanzie, attingendo solo per due miliardi dal budget Ue. Per sei miliardi recupererebbe da due progetti Ue in corso (Connecting Europe e Horizon 2000). Per gli altri otto miliardi si vedrà. Cinque miliardi dovrebbe metterli la Bei. Ma come si trasformano questi 21 in 315 miliardi? La Commissione sostiene che il nuovo Fondo, per ogni miliardo, attirerà tre miliardi di prestiti e 11 miliardi di investimenti privati. Il vicepresidente della Commissione europea, il finlandese Jyrki Katainen, è convinto che «ogni euro di denaro pubblico trasferito nel Fondo genererà circa 15 euro di investimenti» in aree come «energia, ambiente, trasporti, banda larga, istruzione, ricerca e innovazione». La Commissione ammette il fallimento dell’analogo piano (con project bond) varato dalla precedente presidenza del portoghese Josè Manuel Barroso. Sostiene però che il nuovo Fondo non farà la stessa fine perché più «flessibile» e in grado di usare «un ampio numero di strumenti finanziari».