Il tema è assai più industriale che amministrativo. Le performance scritte nei conti, che registrano 1,2 miliardi di utile complessivo nel sistema, dipendono dai settori, perché gestire energia e gas genera ricavi più consistenti che raccogliere rifiuti o distribuire l’acqua. C’è però un dato, anche trasversale ai diversi settori, che balza agli occhi: bastano un paio di indicatori “rozzi”, come i ricavi o il margine lordo per addetto, per veder trasparire una sorta di “piramide dei risultati”, che indica valori crescenti all’aumentare delle dimensioni aziendali. In termini di margini per dipendente, per esempio, le aziende più grandi totalizzano poco meno di 100mila euro, quelle più piccole si fermano poco sopra 13mila euro e le cifre salgono nelle altre classi in modo fedele rispetto alle dimensioni aziendali.
Certo, il primato delle grandi si spiega anche con i dati delle poche quotate, che da sole raccolgono il 43,4% del valore prodotto ogni anno dall’intero comparto. Un dato così lineare, che supera anche la tradizionale ripartizione fra aziende multi-servizio e mono-servizio, ha però una serie di spiegazioni strutturali, che riguardano le economie di scala e la capacità di generare efficienza in termini proporzionali rispetto alle dimensioni.
Anche per questo la parola chiave della strategia che il comparto vuole mettere in campo è «aggregazione», che insieme alle innovazioni di processo nei diversi settori e nelle multiutility potrebbe – secondo le prime stime di Utilitalia – ridurre di 1,2 miliardi i costi operativi delle aziende del comparto, spingendo progressivamente gli operatori verso gli indici migliori registrati in ogni ramo di attività. Nel pacchetto degli “efficientamenti” possibili ci sono anche gli organi di governo, legati al fatto che le aggregazioni riducono anche cda e collegi sindacali, ma da qui potrebbero arrivare meno di 150 milioni. A riprova del fatto che la sfida è più industriale che normativa.