di Fabrizio Massaro
MILANO — Unicredit vara la più grande ricapitalizzazione mai portata avanti da una banca in Italia e contemporaneamente la più grande pulizia di bilancio. Chiede al mercato 7,5 miliardi per rafforzare il capitale, come richiedono le autorità europee e lo status di banca sistemica «troppo grande per fallire» (sifi), e per creare una banca interamente concentrata sull'attività commerciale «solida come una roccia», ha detto ieri l'amministratore delegato Federico Ghizzoni.
L'istituto si presenta agli azionisti, che dovranno versare capitali freschi per la quarta volta consecutiva dal 2008 (per complessivi 14,5 miliardi), con un bilancio ripulito per 9,6 miliardi dei valori enormi delle acquisizioni realizzate sotto Alessandro Profumo, che hanno consentito a Piazza Cordusio di diventare un colosso europeo ma che non possono più garantire le stime finanziarie attese. «È una cifra importante ma che non tocca né il capitale né la liquidità», ha spiegato Ghizzoni, «un aggiustamento puramente contabile». Il livello ha sorpreso gli analisti per l'entità, ma di fatto il mercato valuta ormai da tempo il sistema bancario al netto di avviamenti e beni intangibili.
Sono stati svalutati totalmente il goodwill sulle acquisizioni in Ucraina e Kazakhstan, e anche i marchi Hvb, Bank Austria, Banca di Roma, Banco di Sicilia (Capitalia) e l'ucraina Usb, l'impatto sui titoli greci per 135 milioni, le partecipazioni, in gran parte Mediobanca (404 milioni) e Fonsai (40 milioni). Il risultato nei conti è una maxi-perdita di 9,3 miliardi di euro nei primi nove mesi dell'anno su un margine di intermediazione di 19,1 miliardi (-2,5%). Ma anche senza le poste straordinarie il risultato del solo terzo trimestre è stato in perdita per 474 milioni, per l'impatto che la crisi economica, come i 285 milioni persi per l'allargamento degli spread sui bond governativi, in particolare sugli oltre 40 miliardi di titoli di Stato italiani. «È indispensabile che il rischio Italia scenda, se resta a 450 punti base per sei mesi diventerà insostenibile per le imprese». La conseguenza immediata è l'azzeramento del dividendo sul 2011, che non farà piacere le fondazioni azioniste, ma l'impegno è per un ritorno della cedola dal 2012.
Accanto alla pulizia di bilancio c'è il piano industriale, basato soprattutto sul taglio dei costi, su un riequilibrio tra impieghi e raccolta, su una discesa del rischio di credito da 108 a 75 punti, su maggiori accantonamenti e una ridefinizione delle filiali, che saranno più leggere. Circa l'Est Europa, la banca continuerà a espandersi nei Paesi considerati strategici come Russia, Polonia, Turchia e Repubblica Ceca. Nel taglio dei costi rientra anche il personale, circa 5.200 esuberi in Italia su 160 mila dipendenti: «È personale che da qui al 2015 arriverà naturalmente al pensionamento. Ragioneremo di anticipare le uscite con i prepensionamenti». Le misure dovrebbero determinare un utile netto di 3,8 miliardi nel 2013 e di 6,5 miliardi nel 2015 e un patrimonio di 10,35% di core tier 1 già nel 2012 (9% come Basilea 3) grazie anche ai bond ibridi Cashes, riconosciuti come common equity per 2,4 miliardi.
Da oggi partirà il cantiere dell'aumento, «votato all'unanimità» dal board e interamente garantito dal consorzio guidato da Merrill Lynch e Mediobanca. «Credo gran parte dei soci aderirà», ha detto Ghizzoni. Anche la Libia, primo socio con il 7,5%, «ha interesse a restare nel gruppo: sono in corso discussioni con le istituzioni europee e con il governo italiano per risolvere la questione» del congelamento delle quote.
La promessa è di ripagare l'ennesimo sforzo con un payout del 44% nel 2013 e del 39% nel 2015. E a questi prezzi — ieri dopo i conti il titolo è crollato del 6,18% da 0,77 euro — e con un possibile sconto del 35-40% i soci potrebbero convincersi dell'opportunità di abbattere il prezzo di carico delle azioni. Ma c'è anche uno scenario difensivo: «Se le fondazioni non sottoscrivessero le nostre banche potrebbero essere a rischio scalata», ha detto ieri il sindaco di Verona, Flavio Tosi, che ha grande influenza sulla Cariverona, socia al 4,8% di Piazza Cordusio.