24.03.2015

Un acquisto con il debito scaricato sull’azienda italiana

  • La Repubblica
A chi conviene veramente l’operazione Pirelli-Chem-China? L’interrogativo se lo stanno ponendo in queste ore banchieri, manager e osservatori di vario genere, ma è difficile dare una risposta precisa senza sapere quale sarà il risultato dell’Opa, il perno attorno cui ruota tutta l’impalcatura pensata da Marco Tronchetti Provera e dai suoi advisor. Ma sembra anche difficile sostenere che questa era l’unica soluzione possibile per Pirelli, altrimenti sarebbe finita mangiata da qualche concorrente o private equity di turno. Anzi, sembra di capire che cinesi, russi e italiani abbiano proceduto a fare un’operazione di “leverage”, cioè di acquisto a debito di Pirelli prima che lo facesse qualcun altro.
Ma procediamo con ordine e seguiamo il percorso dei soldi, come nelle migliori tradizioni. L’attuale Camfin, in cambio della vendita del suo pacchetto di azioni Pirelli (23% più il bond convertibile si arriva al 26,2%), riceverà circa 1,6 miliardi e abbatterà il debito residuo di 250 milioni. Resteranno 1,35 miliardi da dividere al 50% tra i russi di Rosneft e gli italiani racchiusi nella Coinv (Nuove Partecipazioni 76%, Unicredit 12% e Intesa Sanpaolo 12%). A questo punto lo schema dell’operazione prevede la capitalizzazione della Newco che, attraverso due scatole finanziarie sottostanti costituite ad hoc, lancerà l’Opa sul capitale restante di Pirelli sia ordinario che di risparmio. La Newco avrà una necessità finanziaria di 7,4 miliardi, di cui 4,2 miliardi saranno garantiti dalla Jp Morgan, 2,05 miliardi vengono versati da ChemChina e 1,15 da soci italiani e russi in proporzioni diverse. Gli italiani in questa prima fase reinvestiranno tutto ciò che incassano dalla vendita della quota Camfin mentre Rosneft si mette in saccoccia poco meno di 300 milioni. Ecco dunque che viene confermata la necessità dei russi di far cassa viste le mutate condizioni economiche della Russia, tra crollo del prezzo del petrolio e forte svalutazione del rublo. Gli italiani, però, potranno recuperare liquidità nel caso con l’Opa non si arrivasse al 100% oppure utilizzarla per aumentare la propria quota. Si vedrà.
Tuttavia non ci vuole molto a comprendere che la parte del leone nell’operazione la farà il debito concesso da Jp Morgan, che verrà inizialmente posto nelle scatole sotto Newco e che poi – se si riuscirà a effettuare il delisting – verranno fuse in Pirelli aumentando fortemente il debito di quest’ultima. Le simulazioni dei banchieri rivelano che la leva della Pirelli, oggi pari a 0,7 volte il Mol (margine operativo lordo), potrà arrivare fino a 4 volte il Mol. Livello simile a quello oggi utilizzato dai fondi di private equity, dunque un’operazione di leverage buy out in piena regola. Le cose si complicheranno un po’ se le adesioni all’Opa saranno basse e non si riuscisse a superare la soglia del 67%, che permetterebbe comunque la fusione inversa e dunque l’uscita della Pirelli dalla Borsa. Se la società rimarrà quotata, Tronchetti Provera e soci dovranno condividere lo scorporo dei “truck” e la fusione Aeolus insieme al mercato e tutto diventerebbe più difficile. A questo punto è lecito chiedersi se era proprio necessario, per crescere nel settore pneumatici pesanti, cedere la maggioranza a ChemChina e far uscire dalla Borsa la Pirelli. Non c’erano percorsi alternativi? Forse sì ma passavano dalla crescita organica e da acquisizioni che avrebbero forse richiesto aumenti di capitale che Camfin e i suoi soci non erano in grado di sostenere. «Pirelli aveva una strada maestra che non è stata perseguita, la crescita organica – sostiene Francesco Gori, fino al 2012 ad di Pirelli Tyre – la società, grazie alla duplice strategia “global premium” nel business Consumer e “regional” nel business Industrial perseguita dai primissimi anni duemila, inizia a produrre cassa per la prima volta dopo molti anni». E Pirelli, nonostante incidenti di percorso non indifferenti, come l’avventura in Telecom, aziende in perdita ereditate da Camfin, il rifinanziamento di Prelios o i soldi investiti in Alitalia, riesce comunque a finanziare nuove piattaforme produttive focalizzate sulle gomme alto di gamma in Romania, Cina e Messico che sono alla base della elevata redditività di oggi. Ma arrivati a questo punto che cosa si sarebbe potuto fare? «Oggi si erano aperti due scenari – continua Gori – perseguire nella strategia di crescita aumentando gli investimenti a fronte di un mercato da tutti ritenuto in continuo aumento per molti anni grazie anche a Cina e India, finanziandoli con maggiore indebitamento, consentito dai bassi debiti, o con aumenti di capitale (con questa strategia il titolo Continental è cresciuto ben più di quello Pirelli); oppure – conclude Gori – massimizzare il valore di Camfin e della propria buonuscita sacrificando l’indipendenza di Pirelli e rinunciando a farne una public company». Tronchetti Provera ha invece scelto la strada del leverage con i cinesi e i russi, la partnership industriale nei truck, la permanenza in sella per altri cinque anni e la monetizzazione assicurata di Camfin grazie alla put o alla scissione tra cinque anni.