02.09.2011

Trichet: «L’Italia rispetti gli impegni»

  • Il Sole 24 Ore

di Beda Romano

Jean-Claude Trichet ha guadagnato un posto di primo piano nei libri di storia. Secondo presidente della Banca centrale europea dopo Wim Duisenberg, il banchiere francese ha retto l'istituzione in anni drammatici, attraverso una crisi ritenuta la più grave da quella del 1929. Per alcuni è l'uomo che ha salvaguardato la tenuta dell'unione monetaria nei momenti più difficili quando il potere politico ha disertato la scena; per altri è colui che ha attraversato il Rubicone, accettando che l'istituzione acquistasse titoli di stato sul mercato e mettendo a rischio l'indipendenza della banca. Commentando in questa intervista di fine mandato l'attualità più dibattuta, Trichet, 69 anni il prossimo 20 dicembre, tratteggia un giudizio sul primo decennio della zona euro e su un istituto monetario che si appresta a lasciare in eredità a Mario Draghi. Sulla recente manovra del governo italiano, il banchiere centrale fa capire di essere preoccupato da un possibile indebolimento delle misure annunciate il 5 agosto.

Un suo connazionale, l'ex presidente della Commissione europea Jacques Delors, ha affermato nei giorni scorsi che la zona euro è «sull'orlo del baratro». È un'opinione particolarmente pessimista, senz'altro dettata dalla delusione. Lei la condivide?

Ho molta ammirazione per Jacques Delors, ma mi permetta di riassumere la mia attuale visione delle cose. Prima di tutto abbiamo una moneta unica credibile, che nel corso degli ultimi 12 anni ha mantenuto il suo valore in termini di stabilità dei prezzi in modo notevole rispetto alle monete nazionali precedenti negli ultimi 50 anni. La solidità della moneta in sé non è in discussione e i cittadini di tutta Europa ci esortano a continuare a preservare la stabilità dei prezzi. Nel suo insieme poi la zona euro è in una situazione migliore di altri Paesi in termini di politica di bilancio. Nel 2011, il deficit pubblico dovrebbe essere del 4,5% del Pil quando negli Stati Uniti o in Giappone sarà di circa il 10% del Pil. Detto ciò, abbiamo avuto debolezze molto serie in termini di governance economica e dei conti pubblici che la crisi globale ha messo in luce.

Ma uomini politici avveduti non esitano a parlare di un rischio di smembramento della zona euro. I punti di debolezza non possono essere negati.

Le debolezze devono essere corrette. Deboli politiche di bilancio e un'attenzione insufficiente agli indicatori di competitività non sono stati seguiti con rigore e corretti per tempo. I Paesi europei devono correggere la situazione attuale. Al loro interno modificando le loro politiche nazionali – come devono fare tutte le economie avanzate, tra cui gli Stati Uniti e il Giappone – e collettivamente rafforzando fortemente il controllo reciproco e la governance.

A proposito di governance. Da più parti si discute della possibilità di creare obbligazioni europee. L'ex premier italiano Romano Prodi ha proposto la creazione di un fondo garantito dalle riserve auree dei Paesi, che emetterebbe titoli obbligazionari con i quali riacquistare debiti nazionali e fare nuovi investimenti.

A questo stadio, abbiamo le obbligazioni emesse dal fondo di stabilità Efsf che sono obbligazioni garantite dall'Europa. Il messaggio principale del consiglio direttivo è di introdurre rapidamente, pienamente e totalmente le decisioni prese dai capi di stato e di governo europei Il 21 luglio.

Su questo fronte, la ratifica in alcuni Paesi, come la Germania, va al rallentatore?

Non voglio parlare di singoli Paesi. Tutti i 17 Stati membri della zona euro devono attuare tutte le decisioni prese dal Consiglio europeo. L'attuazione, piena e rapida, è importante, anche per la fiducia dei cittadini europei.

L'idea di obbligazioni europee quindi non l'attira? Eppure, c'è chi è convinto che in queste circostanze bisogni pensare a soluzioni più innovative e ambiziose.

È importante notare che il nuovo fondo Efsf è finanziato attraverso l'emissione di obbligazioni garantite dagli Stati europei. Il consiglio direttivo della Bce crede sia importante che i singoli Paesi si sentano responsabili delle loro politiche di bilancio. Al tempo stesso il consiglio considera essenziale che la sorveglianza reciproca avvenga nel modo più rigoroso. Dalla nascita dell'euro abbiamo chiesto un importante rafforzamento della governance collegiale. E ben prima della crisi, nel 2004 e 2005, abbiamo difeso il patto di stabilità e di crescita quando era sotto attacco da parte dei grandi Paesi della zona euro. Consiglio, Commissione e Parlamento stanno lavorando alla messa a punto di sei progetti legislativi che avranno il compito di rafforzare la sorveglianza delle politiche economiche, delle politiche di bilancio e delle politiche di competitività. Siamo allo stadio finale dei negoziati ed esorto le parti a raggiungere un accordo il più rapidamente possibile.

In questo decennio la Bce è riuscita con successo a mantenere la stabilità dei prezzi. Ma un'inflazione bassa non è bastata ad evitare lo sconquasso di questi anni. Ai suoi occhi è sufficiente monitorare l'inflazione? La crisi non dimostra forse che oltre a guardare alla zona euro nel suo insieme, la Bce dovrebbe anche giudicare più apertamente di quanto non abbia fatto nel recente passato l'evoluzione economica dei singoli paesi?

Le rispondo prima di tutto ricordandole che il Trattato ci impone di mantenere la stabilità dei prezzi nella zona euro, non di sorvegliare le politiche economiche dei diversi paesi. Questo è il compito dell'Eurogruppo e della Commissione. Noi la stabilità dei prezzi l'abbiamo garantita. Ciò detto, dalla nascita dell'euro abbiamo costantemente chiesto ai Governi di rispettare le loro responsabilità. Abbiamo dato all'Eurogruppo informazioni dettagliate sull'evoluzione della competitività degli Stati membri e chiediamo un monitoraggio rigoroso delle politiche economiche e di bilancio.

Secondo lei quindi la colpa della situazione attuale è dei governi nazionali. Parliamo allora dell'Italia. Come valuta gli sforzi del Paese in questi suoi otto anni di presidenza?

L'economia italiana ha un potenziale straordinario tenuto conto della qualità delle sue risorse umane e della sua cultura d'impresa. Eppure la crescita economica è stata deludente. Per questa ragione credo che riforme strutturali siano necessarie per aumentare il potenziale di crescita di un'economia ingessata da troppi ostacoli che le impediscono di esprimersi al meglio.

Il Paese è stato oggetto di violente turbolenze di mercato questa estate. Come giudica il recente pacchetto di misure di austerità presentate dal governo italiano?

Le misure annunciate dal Governo il 5 agosto sono estremamente importanti per ridurre rapidamente il deficit pubblico e migliorare la flessibilità dell'economia italiana. È quindi essenziale che gli obiettivi annunciati di miglioramento delle finanze pubbliche siano pienamente confermati e concretizzati. Questo è decisivo per consolidare e rafforzare la qualità e la credibilità della strategia italiana e dell'impegno del Governo italiano a ripagare i suoi debiti.

E sul fronte delle riforme strutturali? La grave situazione italiana, come d'altronde la drammatica deriva greca, non è forse legata anche a un assetto economico invecchiato, non solo al debito pubblico elevato?

Il mio messaggio è chiaro: è essenziale che vengano introdotte tutte quelle misure capaci di permettere nel medio termine al potenziale italiano di esprimersi pienamente. C'è oggi un potenziale immenso che non si esprime come dovrebbe.

In Italia, il messaggio che avete mandato al governo italiano all'inizio di agosto per esortarlo a prendere nuove misure di risanamento ha suscitato polemiche. Come mai questa scelta insolita?

Il giudizio del consiglio direttivo è che le turbolenze di mercato dell'inizio di agosto richiedessero un messaggio al Governo italiano. Stavamo assistendo a una progressiva perdita di fiducia degli investitori e abbiamo ritenuto che fosse utile condividere con le autorità in Italia le nostre riflessioni sulle misure più appropriate per ristabilire la fiducia del mercato.

Alcuni commentatori sostengono che vi è stato uno scambio: nuove misure di risanamento in cambio del rilancio degli acquisti di obbligazioni pur di ridurre i rendimenti obbligazionari italiani.

No. Non c'è stato alcun negoziato. Abbiamo inviato il nostro messaggio sulla base della nostra analisi sulle ragioni delle turbolenze di mercato. Abbiamo analizzato le decisioni prese dal governo.

Sì, ma proprio quest'ultima decisione è particolarmente delicata anche perché criticata in Germania, preoccupata da una qualche forma di monetizzazione del debito, e perché ha messo in mostra divisioni nel consiglio direttivo. I suoi detrattori le rivolgono un'accusa precisa: sostengono che Lei verrà ricordato come il presidente che ha fatto perdere l'indipendenza della banca.

Sono appena tornato dal Parlamento europeo e posso dirle che le nostre decisioni sono state commentate favorevolmente dai deputati. Detto ciò, il consiglio direttivo agisce molto prudentemente, anche nell'uso di misure straordinarie, in modo da non mettere in pericolo la credibilità e la solidità della Bce e dell'Eurosistema. Tenga conto che da quando è scoppiata la crisi, nell'agosto 2007, mentre il nostro bilancio è aumentato di circa il 77%, quello della Federal Reserve è salito del 226%, quello della Banca d'Inghilterra del 200%. In altre parole, la crisi ci ha imposto di adottare un certo numero di misure non convenzionali, ma lo abbiamo fatto con prudenza e sempre nell'ottica di garantire una migliore trasmissione della politica monetaria. Tutti sanno che siamo fieramente indipendenti.

Lei lascerà a fine ottobre dopo otto anni la guida della Bce. Verrà sostituito tra due mesi dall'attuale governatore della Banca d'Italia Mario Draghi. Ha suggerimenti da dargli?

Mario Draghi è da molti anni un membro del consiglio direttivo saggio e forte. Conosce l'istituzione estremamente bene ed è stato naturalmente partecipe di tutte le decisioni che abbiamo preso. Quel che conta è che l'istituzione permanga. Sono certo che Mario Draghi saprà garantire la continuità e la credibilità dell'istituzione nel lungo termine.