12.09.2016

Tobin tax europea per finanziare il fondo delle emergenze comunitarie

  • La Repubblica

È servita da imprimatur politico, e insieme da impegno prioritario, una frase di Pierre Moscovici al vertice di Bratislava: il comitato tecnico per la predisposizione di un bilancio europeo dotato di risorse proprie, presieduto da Mario Monti ( High level group on own resources la denominazione ufficiale), sta completando i suoi lavori durati due anni e presenterà a fine ottobre le sue conclusioni. Dopodiché si deciderà se trasformarle in direttive comunitarie, ha precisato il commissario per gli Affari economici. Sarebbe un piccolo passo per le finanze europee, ma un grande salto in termini politici: l’Ue per la prima volta dotata di un proprio fondo con cui gestire emergenze, politiche industriali, aiuti a qualsiasi titolo. È difficile ipotizzare di quanto sarebbe questa parte autofinanziata del budget europeo (155 miliardi totali nel 2016 costituiti quasi per intero dai trasferimenti pro quota dei Paesi, 19 miliardi dall’Italia), ma si potrebbe facilmente arrivare a 15-20 miliardi dai pochissimi miliardi di oggi.
Dipende da quali voci saranno ammesse. Monti, stando alle indiscrezioni, proporrà di aumentare la quota di Iva girata dai Paesi a Bruxelles dall’attuale 1% all’1,25-1,50 (in Italia il gettito è di circa 100 miliardi l’anno). Potrebbe poi essere l’occasione per rendere europea la Tobin tax sulle transazioni finanziarie, che proprio Monti da premier introdusse nel 2013 in Italia nella misura dello 0,2% di ogni transazione, ha reso 480 milioni nel 2015 e si parla di raddoppiarla nella legge di Bilancio. Il problema è che è operativa solo in sette Paesi, di qui la raccomandazione a generalizzarla. Chi si opponeva strenuamente era la Gran Bretagna ma quest’ostacolo si è autorimosso. «Il problema per molti Paesi è che è avvertita come patrimoniale perché colpisce la ricchezza prima ancora che questa abbia generato un profitto», commenta Raffaello Lupi, docente di politica tributaria a Tor Vergata.
Nel fondo europeo probabilmente si proporrà di far confluire anche la Carbon tax sulle emissioni, che in Italia non c’è ma si potrebbe supplire con una parte delle accise sui carburanti. Saranno evitate di sicuro “eurotasse” come quella che colpì l’Italia nel 1997, ma non è da escludere che in futuro qualcosa venga ritagliato dall’Irpef pagata nei vari Paesi. «Per il momento le somme in gioco sono ancora basse perché si giustifichi la creazione del ministro delle Finanze europeo — commenta Angelo Baglioni, ordinario di economia politica alla Cattolica di Milano — ma di sicuro siamo di fronte al nucleo di base da cui potrà sprigionarsi una vera politica finanziaria comune, che potrebbe allargarsi in futuro al fondo per la disoccupazione di cui si sente un disperato bisogno oppure a iniziative davvero importanti in termini di gestione delle migrazioni e della sicurezza ». Il fondo “autofinanziato” potrebbe essere l’inizio di una nuova era, «e il viatico verso sviluppi rivoluzionari come eurobond limitati al suo rifinanziamento».
Se passeranno le indicazioni del comitato Monti, si arriverà in contemporanea o quasi al varo del Fiscal council (anch’esso confermato come imminente a Bratislava, ndr), l’organismo tecnico che affiancherà la commissione nelle partite più complesse compresa la congruità della politiche fiscali nazionali con i dettami comuni. Il tutto rafforzerà politicamente la commissione: già dispone di piccoli fondi gestibili direttamente, ma quando Juncker anticipò “di tasca sua” 3 miliardi alla Grecia che era in ritardo con una delle tante rate della Troika, dovette affrontare un bailamme di polemiche che ora gli sarebbero risparmiate. L’importanza dell’operazione “risorse proprie” deriva anche dal peso del promotore, il bundesminister Wolfgang Schaeuble che lanciò l’idea all’inizio dell’era Juncker (il presidente della Commissione è fra i più ferventi sostenitori dell’iniziativa), come a smentire il luogo comune di una Germania poco sensibile ai temi comuni. Non a caso Schaeuble ha voluto acquisire il parere del Consiglio e del Parlamento europeo oltre che della Commissione. E qualcosa significherà il profilo volutamente “alto” del comitato che ha studiato il caso: con Monti siedono una decina di economisti internazionali nonché lo stesso Moscovici e Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione.
Le conclusioni del comitato Monti dovevano essere a Bruxelles in giugno. Sembra che ci sia un ritardo perché Moscovici ha cercato di integrare nel lavoro la spinosa questione delle norme anti-elusione (quelle per evitare un nuovo caso Apple per intenderci) o addirittura la creazione di un’aliquota comune unica per le aziende operanti in Europa che oggi pagano aliquote che vanno dal 12,5% dell’Irlanda al 27,5 dell’Italia (distanza ulteriormente allargata da una parte dagli accordi ad aziendam che azzerano l’imposizione e dall’altra dai mille oneri fiscali e previdenziali accessori). Poi però si sarebbe ritenuta troppo ambiziosa la
reconductio ad unum di tutte queste partite e si è tornati al progetto originario. Non senza nuove complicazioni: «La Brexit non semplifica la nascita del fondo europeo », spiega Brunello Rosa, economista italiano da anni a Londra dove ha lavorato alla Bank of England. «Misure come questa hanno bisogno dell’unanimità. Il venir meno del contributo britannico al bilancio europeo apre pericolosi contenziosi tra gli altri Paesi, specie dell’est, su chi si dovrà accollare i maggiori oneri. È anche un caso geopolitico: i Paesi dell’est che per tradizione confidavano nella Gran Bretagna come garante contro le mire di potere russe, si trovano scoperti: paure e diffidenze possono prendere il sopravvento».

Eugenio Occorsio