19.02.2021

Da Taranto alla Whirlpool Le cento sfide per il governo sul fronte delle crisi industriali

  • La Repubblica
Alessandra Todde, sottosegretaria al Mise uscente, ha ragione ad ostentare la riduzione dei tavoli sulle crisi industriali nell’ultimo anno e mezzo: sono scesi da 150 a un centinaio, una sfoltita sulla quale proprio la Todde ha inciso con un grande attivismo.
Ma parafrasando Enrico Cuccia, le crisi vanno pesate più che contate. Se ne è accorto ieri mattina Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico: seduto nel suo ufficio in attesa della fiducia parlamentare, ha sentito salire da via Veneto gli slogan e i canti dei 140 operai e operaie della Whirlpool arrivati da Napoli per chiedere un intervento sulla crisi della fabbrica di lavatrici che la multinazionale Usa ha deciso di chiudere. Giorgetti ha incontrato subito i sindacati che erano in strada: «Da parte mia ho promesso serietà, impegno e responsabilità. Sarà necessario mettere in campo politiche economiche di rilancio insieme con il ridisegno di un piano di ammortizzatori sociali».
Alternative credibili alla Whirlpool però non se ne vedono, così come si stanno esaurendo gli ammortizzatori sociali nella stragrande maggioranza delle emergenze industriali del Paese, prefigurando tensioni sociali che neanche l’eventuale proroga della moratoria sui licenziamenti disinnescherebbe.
Se non altro, Giorgetti non si è trincerato dietro l’alibi del debuttante, convocando (per oggi) anche il tavolo sulla crisi della ex Ilva. E il cuore d’acciaio italiano è il banco di prova più impegnativo per il nuovo ministro, anche perché in ballo oltre ai 10.700 lavoratori c’è la tenuta di buona parte del sistema manifatturiero italiano rifornito dallo stabilimento di Taranto.
Proprio Giorgetti, allora esponente di spicco della Lega, indicò nel pregiudizio anti-industriale del M5S sul caso Ilva, una delle cause principali del naufragio dell’alleanza gialloverde e del primo governo Conte. Ora dovrà affrontare la questione di petto, per di più con la complicazione della sentenza del Tar che ha ordinato lo spegnimento degli altiforni a Taranto. Un verdetto contro il quale ArcelorMittal ha già fatto ricorso e che viene ritenuto, in ambienti governativi e aziendali, alla stregua di una sentenza “manifesto” che il Consiglio di Stato presumibilmente smonterà, visto peraltro che la ex Ilva sta rispettando i dettami ambientali dell’Aia. Insomma, Giorgetti già oggi dovrà dire se intende confermare il piano di rilancio dell’acciaieria più grande d’Europa disegnato dal tandem pubblico- privato Invitalia-Mittal e sancito da contratti siglati dallo Stato e dal gigante siderurgico franco-indiano.
Così come dovrà risolvere in tempi brevissimi un altro caso che, prima della crisi politica, sembrava a un passo dalla soluzione: la nascita del polo nazionale dei compressori per frigoriferi, la ItalComp guidata (temporaneamente) da Invitalia che dovrà salvare due fabbriche storiche come la ex Embraco in Piemonte e la Acc in Veneto (700 lavoratori in tutto). L’incertezza seguita alla caduta del governo ha frenato le banche (Intesa, Unicredit, Ifis e Finint) candidate a finanziare e tenere in vita la Acc, con tanto di prestito garantito dalla Sace.
In Sardegna sarebbe in dirittura la riapertura della ex Alcoa, l’unica fabbrica italiana di alluminio primario (anche qui circa 700 addetti diretti), ma la svizzera SiderAlloys attende certezze su tariffe dell’energia e approvazioni ambientali.
A Piombino, altra storica capitale siderurgica italiana, ci sono duemila operai che vogliono capire se è confermato il supporto di Invitalia (ancora lei, la vera “nuova Iri”) al rilancio dell’acciaieria della indiana Jindal, mentre in Sicilia, a Termini Imerese, la fabbrica non si è mai ripresa dopo l’abbandono della Fiat: oltre 600 operai e un intero territorio sperano in una reindustrializzazione che salvi il loro orizzonte.
In Toscana i lavoratori della Bekaert (fili di ferro), sedotta e abbandonata dalla multinazionale belga, sognano di diventare padroni della fabbrica, ma il tempo passa e gli ammortizzatori sociali si esauriscono.
Sono solo i casi simbolo del declino industriale italiano. Mario Draghi al Senato ha detto che «il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente ». È la transizione ambientale e digitale al centro dei piani del governo. Ma in attesa di una rivoluzione che avrà bisogno di anni, servono risposte immediate a tanti operai e imprese privati del futuro.