17.01.2019

Sui reati fallimentari Corti contro

  • Italia Oggi

Cassazione contro Consulta. Nel reato di bancarotta fraudolenta le pene accessorie vanno commisurate alla durata di quella principale perché sono determinate solo nel massimo e dunque vanno soggette alla disciplina ex articolo 37 Cp. E ciò benché dalla Corte costituzionale sia arrivata l’indicazione di una decisione discrezionale nella sentenza 222/18, pubblicata il 5 dicembre scorso, che ha cancellato il divieto fissato invariabilmente a dieci anni di fare l’imprenditore o il manager a carico del condannato per il reato fallimentare. È quanto emerge dalla sentenza 1963/19, pubblicata il 16 gennaio dalla quinta sezione penale della Suprema corte. Dal giudice delle leggi, spiegano oggi gli Ermellini, arriva soltanto «un’indicazione» che non è collegata alla dichiarazione di incostituzionalità e che non risulta possibile seguire perché contrasta con l’orientamento delle Sezioni unite penali: dopo l’intervento dell’Alta corte le pene accessorie sono fissate soltanto nel massimo e dunque non possono ritenersi espressamente determinate dalla legge penale. Risultato? Nella specie la Cassazione ridetermina in due anni la pena accessoria dopo che l’imputato è stato condannato a due anni e due mesi di reclusione. La Consulta, infatti, esclude l’applicabilità dell’art. 37 Cp instaurando un parallelismo fra la bancarotta semplice e quella fraudolenta. Ma l’indicazione offerta dal giudice delle leggi al giudice comune è in contrasto con l’orientamento consolidato secondo cui per la bancarotta semplice le pene accessorie sono ragguagliate a quella principale in quanto determinate solo nel massimo. Il tutto in linea «con autorevoli studi dottrinali». D’altronde, concludono gli Ermellini, è il diritto vivente a ricondurre alla disciplina dell’articolo 37 Cp le pene accessorie previsti per i reati fallimentari e determinate solo nel massimo: si tratta di comminatorie edittali che non possono essere considerate lex specialis. È la stessa Consulta, precisano gli Ermellini, a spiegare che il suo è solo un «parere» sulla portata dell’applicazione delle norme che non è legato da un rapporto di interdipendenza con il giudizio di incostituzionalità espresso.

Dario Ferrara