10.08.2020

«Sui fondi Ue no a 100 progetti per dare segnali a tutti E basta europeismo riluttante»

  • Il Corriere della Sera
Paolo Gentiloni, commissario Ue per l’Economia, si gode una pausa dopo alcune delle settimane più dense nella storia dell’Unione europea e prima di un autunno impegnativo: entro ottobre, la Commissione dovrà raccogliere sul mercato i primi cinquanta miliardi di euro di prestiti per il fondo Sure di sostegno ai lavoratori. Almeno quindici Paesi hanno già chiesto questa forma di credito agevolato di Bruxelles ma all’Italia — prevede Gentiloni — dovrebbero spettare «circa 25 miliardi dei cento disponibili».

Covid sta rivelando l’incapacità di cooperare delle maggiori potenze. È questa instabilità a spingere l’Europa in senso contrario?

«Senz’altro in questi mesi c’è stata una rivincita dell’Europa, che è tornata forte e si è dimostrata centrale nel panorama internazionale. Rispetto alla crisi dell’euro, abbiamo compiuto in dieci settimane scelte che erano state negate o rinviate per dieci anni. In parte è stato possibile per la durezza stessa della recessione legata alla pandemia, ma il nuovo contesto globale e la nostra storia degli ultimi dieci anni hanno influito. Ci hanno messo di fronte alla necessità di una scelta».

A cosa pensa?

«Gli anni Dieci avevano un po’ messo in crisi il progetto europeo con la Troika, i flussi migratori e la Brexit. La Commissione di Ursula von der Leyen nasce avendo come ragion d’essere una risposta a questa crisi, indispensabile visto anche il contesto internazionale. Quest’ambizione si era già vista prima della pandemia con il Green Deal, poi Covid è stato il catalizzatore. Un esempio: di un’iniziativa come Sure si parlava da undici anni e ora lo stiamo finalizzando. Siamo riusciti a portarla a casa perché c’era questa enorme recessione, ma Sure è diventato prototipo di Next Generation Eu, il piano da 750 miliardi».

Il Recovery Plan è un rischio politico per la Germania e i Paesi del Nord. Sarà l’ultima concessione, se non viene investito bene?

«Questa ora è la sfida. Lo è prima di tutto per la Commissione, perché bisogna garantire il successo dell’operazione in un momento di silenzio degli euroscettici in tanti Paesi. Se funzionerà, potrà essere un precedente. Noi a Bruxelles dovremo saper gestire la Recovery and Resilience Facility (da 672,5 miliardi, ndr) coordinando il lavoro dei governi ma senza sostituirci a loro; dovremo anche lavorare alle risorse proprie, nuove forme di entrate europee, per dimostrare che si può fare debito in comune».

Se in Italia il Recovery Fund viene sprecato e non frena il declino, sarà più difficile che la Germania accetti altro debito comune in Europa?

«L’Italia è importante. Siamo fra i maggiori beneficiari nei programmi varati in queste settimane. Che il Recovery Plan abbia successo in Italia è un fattore chiave e anche qui credo che ci sia una rivincita europea. La scelta europeista è una carta d’identità di questo governo e penso che sarebbe utile rivendicarla come chiara scelta di campo. Chi fa l’europeista riluttante finisce per lasciar spazio ai nazionalisti, che su quel terreno sono sempre più competitivi. Sappiamo tutti che questo governo è nato in circostanze particolari, ma ora ha una gigantesca responsabilità politica: deve gestire una crisi acuta come mai nella storia repubblicana e ha a disposizione risorse come mai nella storia repubblicana».

Il Recovery Fund vale il 5,7% del reddito della Ue. La recessione pesa di più ed è più concentrata nel tempo. Il fatto che ci sia una sorpresa positiva in sé può non bastare a fermare la divergenza fra economie, non trova?

«Fermare questa divergenza è stato il leitmotiv del mio lavoro. È il principio che abbiamo messo alla base del Recovery Fund. Certo, se ci si limita a paragonare l’entità del piano — più i cento miliardi di Sure — si potrebbe considerarlo modesto rispetto alle risorse mobilitate negli Stati Uniti. Ma noi non siamo uno Stato federale e quelle somme vanno sommate ad altre per un 4,5% di Pil in media di sostegni dei singoli governi e a un 24% circa di garanzie sul credito. Basterà? Bisogna che tutti i Paesi si impegnino per evitare quella che io chiamo la Grande divergenza».

La spesa

Nel 2020 l’Italia sta spendendo più di tutti, assieme alla Germania Più di Francia e Spagna Una cosa enorme visto

il livello del debito

Certi indicatori in area euro hanno sorpreso al rialzo. È vera ripresa?

«Noi restiamo alle nostre previsioni di un calo dell’8,7% nella Ue nel 2020. Abbiamo indicato il rischio di uno scenario ancora peggiore, che per ora non si sta materializzando. Da certi dati sembrerebbe esserci una maggiore velocità nel rimbalzo del manifatturiero, rispetto all’atteggiamento molto cauto delle famiglie nei consumi. Questo si ripercuote nei servizi e del resto continuiamo a vedere un aumento dei depositi bancari senza precedenti. La via della ripresa è lastricata di incertezza».

Come si decide il ritorno del Patto di stabilità? Christine Lagarde propone di rivederlo, prima di riattivarlo.

«Concordo con la presidente della Banca centrale europea che serva molta cautela. Bisogna scegliere bene i tempi. Nella crisi precedente abbiamo avuto una doppia recessione perché abbiamo perseguito una stretta di bilancio troppo presto. La Commissione terrà conto dell’importanza di evitare lo stesso errore. Per quanto mi riguarda, trovo interessante l’indicazione dello European Fiscal Board di usare come valore di riferimento per prendere decisioni sul Patto di stabilità il momento in cui la Ue tornerà ai livelli di Pil del dicembre 2019».

Questo vale per la media europea. Se l’Italia resta indietro, dovrà rispettare le regole di bilancio senza aver recuperato i livelli pre Covid?

«Motivo in più per qualunque Paese per non restare indietro».

Lei dice: la linea di faglia nella politica italiana passa fra pro europei e antieuropei. Non attraversa anche la maggioranza, viste le indecisioni sul Mes)?

«Quella fra antieuropei e europeisti è la discriminante. Non l’unica, ma è fondativa. I nazionalismi hanno vissuto questi mesi con difficoltà per l’inadeguatezza delle loro risposte, ma non sono scomparsi. Bisogna prosciugare l’acqua in cui nuotano e questo governo ha lavorato bene in Europa con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i ministri Roberto Gualtieri e Enzo Amendola. Lo dico perché li ho visti in azione. Un anno e mezzo fa si parlava di Italexit, ora l’Italia ha tessuto alleanze ed è stata importante nel negoziato».

Le misure del governo negli ultimi sei mesi valgono 100 miliardi, da sole la metà del Recovery Fund…

«L’azione di emergenza era necessaria e le decisioni prese a Bruxelles l’hanno resa possibile. Dobbiamo anche essere consapevoli che nel 2020 l’Italia sta spendendo più di tutti, assieme alla Germania. Più di Francia e Spagna. Una cosa enorme visto il livello del debito. Ma attenzione: Next Generation Eu non è il secondo tempo di questa azione di pronto soccorso, magari finanziato da fondi europei. Queste spese straordinarie vanno gestite con una logica che non è di emergenza e l’obiettivo non è tornare alla situazione pre Covid. Non facciamo una grande operazione per tornare alla normalità di prima e per l’Italia sarebbe doppiamente sbagliato. Il Recovery Fund avrà successo se trasformerà le nostre economie in senso più sostenibile, più inclusivo e le renderà più competitive. E per un Paese che aveva la crescita più bassa degli altri vale doppio, anche perché i sostegni ai redditi non possono durare all’infinito».

Il Patto di stabilità

Con molta cautela

si deve rivedere

il Patto di stabilità

Giusto decidere quando l’Unione sarà di nuovo ai livelli di reddito del 2019

Cosa intende?

«Che c’è una grande occasione di provare a fare sul serio alcuni cambiamenti che ripetiamo come litanie da decenni. Quindi più che cento progetti per dare segnali a tutti, penso sia importante concentrarsi su sette o otto aree di intervento che trascinino il resto. Ma devono essere percorsi precisi con spese dettagliate, investimenti, regolamenti, risultati attesi, tempi previsti. Penso di essere tra i più consapevoli di quanto sia difficile, ma senza chiarezza e realismo sarà difficile assicurare il successo di Next Generation Eu».