28.09.2015

Studi di settore, lo scarto non basta

  • Il Sole 24 Ore

È illegittimo l’accertamento fondato solo sullo scostamento degli studi di settore poiché trattandosi di una presunzione semplice occorre che l’ufficio dimostri in che misura può rappresentare la più verosimile realtà dell’impresa. Ad affermarlo è la Ctr di Milano, sezione staccata di Brescia, con la sentenza 3875/67/2015 (presidente e relatore Montanari).
L’agenzia delle Entrate aveva notificato a una società un avviso di accertamento fondato sulle risultanze degli studi di settore. Il provvedimento era stato impugnato dinanzi al giudice tributario lamentando, in estrema sintesi, una carente motivazione poiché lo scostamento da Gerico, in assenza di altri elementi, non può, di per sé, fondare la pretesa.
L’ufficio, nella propria costituzione in giudizio, evidenziava che la rilevante differenza tra il risultato degli studi rispetto ai ricavi dichiarati era sufficiente a motivare l’accertamento.
Il giudice di primo grado respingeva il ricorso affermando che dal calcolo eseguito dall’Agenzia emergevano quelle gravi incongruenze che legittimerebbero l’atto anche in assenza di ulteriori prove. Inoltre, in ogni caso, la ricorrente non aveva dimostrato particolari ragioni che giustificassero la disapplicazione dello studio.
La decisione veniva così impugnata davanti alla Ctr, che in accoglimento dell’appello, la riformava integralmente. I giudici di secondo grado hanno innanzitutto rilevato che dalla motivazione dell’avviso non era dato comprendere in che misura lo scostamento rappresentasse un elemento grave, preciso e concordante. Infatti, l’articolo 39, comma 1, lettera d) prevede che l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.
Secondo il giudice, l’ufficio non aveva motivato «come la fattispecie teorica – prevista dal legislatore – fosse sovrapponibile a quella concreta», cioè perché lo scostamento degli studi di settore potesse rappresentare il risultato più attendibile e verosimile per la società oggetto di controllo. Ha così ricordato che, in ogni caso, lo studio di settore è qualificabile come “sola” presunzione semplice. Anche di recente la Cassazione (sentenza 12290/2015), pur confermando una decisione sfavorevole al contribuente, ha affermato che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate.
Il giudice tributario può poi liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente.
Quest’ultimo non è vincolato alle difese sollevate durante il contraddittorio preventivo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, e ciò anche se non ha risposto all’invito precedente all’emissione dell’atto.
È stato inoltre precisato che l’unica ipotesi in cui è concesso all’ufficio di motivare l’atto sul mero scostamento è quando il contribuente non risponda all’invito al contraddittorio preventivo.
La decisione è estremamente interessante poiché non di rado, quando lo scostamento dagli studi di settore è consistente, l’ufficio ritiene assolto il proprio onere probatorio, tralasciando l’indicazione degli elementi che dimostrerebbero l’applicabilità di quel “risultato” al caso concreto. È evidente, invece, che tali atti non assolvano l’obbligo di motivazione previsto, dal legislatore, a pena di nullità.